Le caratteristiche visive e comportamentali del Martino non son certo passate inosservate e così, da sempre, la fantasia popolare ha caricato questi uccelli di virtù e potenzialità quasi magiche che di certo non hanno giovato alla loro conservazione, facendoli oggetto di caccia e facile aucupio: una pania posta nelle vicinanze del suo abituale posatoio, una rete messa a traversare un ruscello, ne faceva scempio. Il suo volare diritto, basso sull’acqua rendeva il tiro d’imbracciata allettante a ribadire la valentia del cacciatore; ma perché tutto questo? Non certo per le sue carni immangiabili, come spesso son quelle delle specie ittivore, ma ancora una volta per i suoi colori, per porlo, povera spoglia imbalsamata, sotto una campana di vetro nei salotti d’un tempo o sul civettuolo cappellino di una dama, in alternativa alle candide egrettes.
Ma come dicevo alle spoglie del Martino erano attribuite qualità non indifferenti e così Ginanni (1774) narra che “la sua pelle con le penne, posta tra i panni di lana li preservi dalle tignole…conservato ne’ tesori li accresce…” e Jonstonus (1657) aggiunge che: “Non tangi fulmine domum, in qua ejus nidus suspensus fuerit…”. Questo fatto delle proprietà del nido è curioso in quanto un nido di Martino – semplice tunnel scavato nella terra – certamente non si può appendere nelle case. Tuttavia, rileggendo la descrizione che lo stesso Jonstonus (1657) fa del nido del Martino, vien forte il dubbio che si sia a lungo confuso il suo nido con quello del Pendolino, a cui tale descrizione perfettamente corrisponde! Sentite: “Nidum forma rotundum, eminente in angulum foramine exiguo, ex floribus arundinum, mollem construere ajunt”.
La tradizione di appendere le sue spoglie con una corda di violino nelle case per usarlo come barometro si è conservata a lungo in Romagna e Foschi (1986) egualmente racconta di averlo visto “appeso nella cucina delle nostre case coloniche con le ali aperte e rinsecchite girare a seconda del vento; e quando volgeva (il petto) al nord…arrivava il bel tempo o la neve, e quando si volgeva a sud…arrivava la pioggia”. Né secondo l’Olina (1662) mancano al Martino potenzialità taumaturgiche avendo egli avuto “per cosa segreta…che il cuore seccato e attaccato al collo de’ fanciullini, che gli preservi del mal caduco (epilessia), che s’è vero, è segreto da essere apprezzato”.
Ancora il Foschi afferma che “ Una bella leggenda antica dice che il piccolo Martin pescatore era un tempo un banale uccello grigio che ottenne i suoi colori brillanti quando, lasciando l’arca di Noè, volò diritto a occidente verso il sole bruciando le penne del petto; esse, allora, acquistarono un colore rosso ruggine mentre quelle del dorso i colori verde-azzurri del cielo dopo il tramonto”.
Per i greci antichi il Martino nidificava sul mare aperto e da qui il nome di “halkion” (hasls = mare e hyon = colui che genera). Gli dei amavano tanto gli alcioni da calmare le acque del mare durante la loro nidificazione che si riteneva avvenisse prima del solstizio d’inverno, tanto che quei giorni di calme vennero detti “i giorni dell’alcione”. Nella mitologia greca, Alcione, una delle Pleiadi, andò sposa a Ceice figlio di Espero, la stella della sera; morto in un naufragio essa pure per disperazione si getto in mare, tanto che i numi impietositi li trasformarono in Martin pescatori.
Questa leggenda si è tramandata nel tempo, tanto che il nome scientifico del Martino coniato da Linneo è appunto Alcedo – da Alcyon – atthis – abitante dell’Attica.
Infine da sottolineare il fatto che l’effige del Martino è, sebbene raramente, usata in araldica; due municipalità della repubblica Ceca – Hiskov e Horni Rasnice – lo raffigurano infatti sul proprio stemma.
I suoi colori forti e rilucenti hanno da sempre affascinato artisti, scienziati e gente comune che han visto in lui ora un accattivante soggetto di studio, ora una sfida a trasferire sulla tavolozza le incredibili tonalità del suo mantello, ora semplicemente a trarre da lui esempio su quanto la Natura possa essere prodiga di bellezze.
Tra gli uccelli, forma e relativa funzione tratteggiano nel Martino uno degli esempi più concreti e leggibili di adattamento, facendo vagheggiare nella mente dello studioso i possibili percorsi e momenti evolutivi che lo han portato ad assumere le attuali sembianze.
Il Martino passa la sua vita solitaria sul bordo delle acque; posato su di un ramo rinsecchito ne esplora la superficie, pronto a cogliere il più piccolo segno di presenza di una possibile preda…piombandole addosso e ghermendola con il becco. Con volo diritto e fulmineo controlla instancabile il suo territorio, scacciando con furia prolungata quanti della propria specie si avvicinano ad esso, padrone incontrastabile del suo spazio vitale che sceglie e mantiene a lungo nel tempo. Lì tollera solo la femmina, che invita galante con in dono un piccolo pesce e moltiplicherà i suoi voli di caccia per allevare una nidiata tanto numerosa quanto affamata.
Intollerante con tutti i suoi simili, è lui il dominus assoluto del proprio regno…lui il Re Pescatore.
Crediti
Autore: N. Emilio Baldaccini. Già Professore Ordinario di Etologia e di Conservazione delle risorse Zoocenotiche dell’Università di Pisa. Autore di oltre 300 memorie scientifiche su riviste internazionali e nazionali. Svolge attività di divulgazione scientifica. E’ coautore di testi universitari di Etologia, Zoologia Generale e Sistematica, Anatomia Comparata.