Maria Montessori, nel quarto capitolo della sua opera più importante, “Il metodo della pedagogia scientifica”, poi divenuto “La scoperta del bambino”, evidenzia l’importanza della natura nell’educazione e nella formazione.
“Nel nostro tempo e nell’ambiente civile della nostra società i bambini vivono molto lontani dalla natura ed hanno poche occasioni di entrare in intimo contatto con essa o di averne diretta esperienza. (…) tutti ci siamo fatti volontariamente prigionieri e abbiamo finito per amare la nostra prigione e trasmetterla ai nostri figlioli. La natura si è a poco a poco ristretta, nella nostra concezione, ai fiorellini che vegetano e agli animali domestici utili per la nostra nutrizione, pei nostri lavori o per la nostra difesa. Con ciò anche l’anima nostra si è rattrappita: si è adattata a contenere dei contrasti e delle contraddizioni: a confondere perfino il piacere di vedere animali, con l’essere vicini alle povere bestie destinate a morire per nutrirci, o a contemplare il canto e le bellezza di uccelli prigionieri in piccole gabbie, con una specie di nebuloso ‘amore per la natura’. Non c’è anche il pregiudizio che trasportando un po’ di sabbia del mare in un recipiente a forma di tavolino si ‘dia un immenso aiuto’ al fanciullo? Molte volte, anzi, si pensa che la riva del mare sia educativa perché vi si trova la sabbia come nel recipiente. Così in una secolare prigionia, si giunge alle più assurde conclusioni.”
E’ partendo da queste considerazioni che vediamo, nel portare in classe un rapace, una ennesima forma di rattrappimento dell’anima, un modo di trasmettere prigionia ai nostri figli.
Da qualche tempo nel nostro Paese, che ancora conserva territori sani in cui i rapaci hanno il posto che spetta loro, si moltiplicano eventi in cui sono presenti persone che praticano la falconeria in modo troppo spesso libero da vincoli di opportunità e da ogni buona pratica della conservazione della natura e delle sue risorse. Cosa insegna, ai bambini che partecipano alle manifestazioni con le loro famiglie, mostrare animali selvatici legati ad un guanto o lanciati contro altri animali? Far accarezzare a chi passa questi poveri animali prigionieri significa insegnare loro che è lecito “usare” gli animali come giocattoli.
I cieli dell’Italia sono solcati dai voli di molti rapaci in libertà, che possono essere mostrati a grandi e piccoli mentre volano liberi negli spazi aperti. Dopo le grandi battaglie per non avere spettacoli circensi con animali addestrati, ora troviamo rapaci rubati alla loro libertà nelle scuole, che dovrebbero essere il tempio di una cultura che riscatti l’essere umano dalla sua animalità e lo faccia assurgere a spirito libero. Come professionisti della divulgazione scientifica e della didattica dei territori ne siamo dolorosamente sconcertati. Preferire il contatto pret a porter con animali selvatici alla possibilità di osservarli in natura, significa rinunciare a fornire alle giovani generazioni strumenti e metodi di lettura di spazi fisici sempre più estesi, per aiutarli a diventare adulti, capaci di conquistare quegli spazi mentali atti a comprendere le dimensioni universali.
Far entrare rapaci nelle scuole col pretesto di promuovere nuovi approcci alla natura significa rinunciare ai principi su cui si basa l’educazione all’ambiente, che si esprime attraverso l’agire educativo e l’educare agendo. Educazione che richiede percorsi in cui capire, osservare, fare, curare, che coinvolgono valori, saperi, conoscenze, opinioni, emozioni, operatività, relazioni, sui quali si costituiscono proposte ed elementi di un futuro possibile; sui quali si costruiscono lo spirito esplorativo e i processi di costruzione delle conoscenze (Carta dei Principi per l’educazione ambientale orientata allo sviluppo sostenibile e consapevole. Fiuggi, 1997).
Educare al rispetto per la natura equivale a trasmettere il valore del rispetto per ciascun sé e per ciascun altro essere vivente, equivale a trasfondere il valore della vita in tutte le proprie espressioni: gli odori, i suoni, i colori; significa trasfondere la filosofia che tutto appartiene ed esiste oltre il confine esistenziale di ciascuno di noi e che pertanto nulla di ciò che è in natura costituisce “proprietà” di alcuno, quanto piuttosto “patrimonio universale”. Patrimonio inalienabile, patrimonio che va preservato, tutelato, conservato (E. Capodiferro, 2010).
I rapaci sono animali selvatici che in tutti i sistemi ecologici occupano la parte apicale della piramide alimentare: sono superpredatori e giocano un ruolo cruciale nella regolazione degli equilibri degli ecosistemi cui appartengono. Considerarli animali domestici solo perché chi li esibisce li ha acquistati da allevatori, è un gravissimo errore. Un animale domestico difficilmente sopravvive all’abbandono, i rapaci, invece, ci riescono benissimo. Questi animali sono presenti in tutti gli habitat con molte specie adattate alle diverse condizioni ambientali, al buio e alla luce; i loro organi di senso sono estremamente delicati. Portare un rapace notturno di giorno in mezzo al chiasso significa sottoporre il suo udito sensibilissimo e i suoi occhi specializzati al buio ad una immotivata quanto crudele tortura. Anche per i rapaci diurni come i falchi e le aquile, che sono animali solitari, essere circondati da tante persone è terribile. Accarezzare o toccare il piumaggio di un uccello significa rischiare di rovinare il suo sistema di isolamento termico e di impermeabilizzazione.
Non bisogna poi dimenticare che gli artigli dei rapaci sono stati “costruiti” dalla natura per uccidere; sono forti e affilati: avvicinarli in una classe vociante può comportare dei rischi. Un rumore improvviso, un atteggiamento frainteso possono scatenare nel rapace una reazione di difesa che può diventare assai pericolosa.
Auspichiamo pertanto che le scuole, in un momento in cui gli stili di vita sostengono la civiltà dell’oggi, pratichino percorsi didattici di tipo naturalistico che aiutino a superare la cultura dell’hic et nunc, del tutto e subito, proiettando i giovani nella dimensione di un tempo che non è consumato dall’istante, che non è circoscritto al sincronismo dell’immediato, ma che possa risultare utile a percepire la dimensione della diacronia. A cogliere cioè la dimensione dell’arco temporale della vita, il cui presente, anche se storicamente ancorato al passato, non può che proiettarsi verso un futuro fatto di ricerche e scoperte, nelle quali gli unici vincoli devono essere rappresentati dal rispetto per sé e gli altri e non dai lacci di cuoio che legano le zampe di animali che devono poter VOLARE LIBERI.
Questo documento, indirizzato a tutti i docenti italiani, è parte integrante della Campagna VOLARE LIBERI promossa da EARTH GARDENERS a cui aderiscono:
AFNI (Associazione Fotografi Naturalisti Italiani)
ARDEA (Associazione di Ricerca, Divulgazione ed Educazione Ambientale)
Comitato Ambiente Sassari
CISNIAR (Centro Italiano Studi Nidi Artificiali)
GOS (Gruppo Ornitologico Sardo)
LAV (Lega Anti Vivisezione)
Legambiente
LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli)
MASCI (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani)
WWF (World Wildlife Fund)
ZOE–Progetto antispecista
Zoeticamente.
Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.