Dire maggio è pensare alle rose. E’ alle rose che poeti, pittori, musicisti di tutti i tempi hanno dedicato le loro opere. E’ alle rose che ci si riferisce se si vuole parlare di bellezza femminile.
Rose gialle, rosa, rosse, arancio, viola, quasi azzurre. Rose a cespuglio, rampicanti, striscianti, ad alberello. Rose botaniche, antiche, moderne, rifiorenti, profumate. Migliaia di specie, di varietà e di cultivar di questo genere in questo mese esplodono in fioriture spettacolari regalandoci la felicità di aver potuto vedere un’altra primavera! Insomma, non so se si è capito: è il genere Rosa il protagonista dell’appuntamento di maggio…
Da dove cominciare? Le migliaia di varietà e di cultivar che centinaia di giardinieri e appassionati hanno creato, trovano spazio nelle pubblicazioni specifiche di giardinaggio. Qui parleremo invece di alcune di quelle splendide specie selvatiche che possiamo trovare passeggiando per boschi e campagne.
Cominciamo perciò dalla rosa spontanea più comune in Italia, la Rosa canina (Rosa canina L.). Chiamata anche Rosa selvatica o Rosa di macchia, è molto frequente nelle siepi e ai margini dei boschi. I suoi habitat di elezione sono le boscaglie di faggio, abete, pino e querce a foglie caduche, fino ad una quota di 1900 m. E’ una specie pioniera, che riesce a resistere al freddo e a tollerare il caldo; essendo un arbusto rustico non subisce attacchi da molti parassiti. È stata introdotta e si è naturalizzata anche in America del Nord, in Australia e in Nuova Zelanda.
La Rosa canina appartiene ad un gruppo di piante antichissime, le cui origini risalgono a più di quaranta milioni di anni fa, come testimoniano i reperti fossili ritrovati in Colorado e nell’Oregon. Un genere, arrivato a noi attraversando anche le glaciazioni del Pleistocene, che lungo il suo cammino si è diffferenziato in varie specie.
Fu Plinio il Vecchio a dare il nome a questa rosa. Non si sa se la chiamò “canina” perché un soldato romano fosse guarito dalla rabbia con un decotto delle sue radici oppure per semplice analogia, essendo le spine dell’arbusto simili alle zanne affilate di un cane, tra il graffio provocato dalla pianta e i morsi di un cane.
La leggenda, invece, vuole che Bacco si fosse invaghito di una ninfa e, come al suo solito, avesse tentato di conquistarla. Lei fuggendo terrorizzata, inciampò in un cespuglio e Bacco la raggiunse. Bacco ringraziò il cespuglio trasformandolo in una pianta di rosa, facendogli spuntare splendidi fiori di un delicato color rosato, lo stesso colore delle guance della ninfa.
Meno frequente e con un areale più limitato è la Rosa di San Giovanni o Rosa sempreverde (Rosa sempervirens L.), che cresce nell’intervallo altimetrico tra 0 e 100 m s.l.m. Comune nelle campagne, lungo le siepi e sul limitare dei boschi, può essere considerata una pianta della macchia mediterranea, vista la sua presenza costante nella gariga e nella boscaglia sempreverde.
La Rosa delle Alpi (Rosa pendulina L.) cresce invece tra 600 e 1800 m o più. Si trova a suo agio in boschi piuttosto radi, rupi, ghiaie e pascoli sassosi. E’ una specie di interesse fitogeografico, perché è presente nell’appennino meridionale come specie relitta di epoche più fredde. Diffusa in tutta l’Europa centro-settentrionale, è adattata a vivere anche al di sopra del limite degli alberi, dove si comporta da orofita, riuscendo ad accrescersi e svilupparsi in condizioni di notevole escursione termica giornaliera, forte insolazione diurna e contenendo il suo periodo vegetativo in tempi assai brevi.
Altra rosa adattata a vivere in zone montane molto soleggiate è la Rosa di Serafino (Rosa Seraphini Viv.). E’ una specie molto rara, corta e strisciante, spinosissima e può raggiungere il metro di altezza. Vegeta nei boschi cedui, nei cespuglieti, lungo le siepi e nelle garighe delle aree montane molto esposte dagli 800 ai 1800 m di altitudine.
Chiudiamo questa rassegna di eccezionale bellezza con una rosa arrivata nel nostro Paese da moltissimo tempo e da molto lontano, la Rosa gallica (Rosa gallica L.), i cui fiori roseo-porporini illuminano boschetti e luoghi selvatici.
La storia testimonia la sua esistenza come specie selvatica in Asia centrale; coltivata poi da Persiani ed Egiziani, venne infine adottata da Greci e Romani, presso i quali la Rosa gallica veniva utilizzata per la cura del corpo o per ornamento. Grandi fruitori della rosa e dei suoi derivati, i Romani coltivavano ampiamente questa regina dei fiori. Virgilio, nel IV canto delle Georgiche si rammarica del mancanza di tempo per elogiare l’arte della coltivazione degli orti e dei giardini di rose.
C’è chi pensa che la Rosa gallica sia di origine persiana perché una leggenda di questo paese racconta che la particolare colorazione purpurea di questo fiore derivi dal sangue caduto dal petto ferito di un usignolo: la sfrenata passione per la rosa bianca lo induce a rubare con furtiva fretta il meraviglioso fiore. I rami, spezzandosi, feriscono l’usignolo e il sangue colora i petali della rosa.
Ma se l’origine di questa rosa è comunque attribuita alle regioni dell’Asia orientale, come mai il suo nome specifico latino è “Gallica” = della Gallia? Linneo, durante il suo lavoro di riordino della nomenclatura, aveva esaminato un campione proveniente dalla Francia (Gallia) e ha deciso, in barba alle sue origini, di affibbiarle il nome specifico di gallica.
Così si è compiuta la lunga “passeggiata” di questa rosa lungo tutto il continente eurasiatico!
Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.