Premessa
Gli esseri viventi sono l’esito di combinazioni genetiche sulle quali l’ambiente, di cui essi sono parte, esercita esclusioni selettive. Questo rapporto cambia nella nostra specie che, grazie alle tecnologie elaborate nel corso dei millenni, si è rivelata in grado di capovolgere questo paradigma adattando alle proprie esigenze gli ambienti che ha colonizzato. Le conseguenze del mutato rapporto, non sempre attentamente valutate, si sono rivelate a volte non positive per la nostra vita fisica e/o psichica e per gli ambienti stessi (Bateson, 1976).
L’ambiente interiore umano, però, rimane quello che la selezione naturale gli ha conferito. Homo sapiens sapiens resta, come quasi tutti i primati, un animale culturale e sociale che ha bisogno di vivere in comunità gerarchiche (Eibl-Eibesfeldt, 1995). Legata alla naturalità rimane anche la necessità di un intenso rapporto con il territorio, sia esso originario o “addomesticato”. La forte interdipendenza fra l’individuo e l’ambiente, di cui è elemento fondamentale, rende indispensabile che fra essi si sviluppi un rapporto armonioso (Bateson, 1976). Armonia profonda che comprende un’attiva consapevolezza dell’appartenenza al territorio, inteso nelle sue componenti orografiche, paesaggistiche, culturali e sociali. La relazione dialettica con l’ambiente si compone di molti elementi che influenzano la formazione dell’individuo, rendendolo adatto a vivere e gestire il territorio in cui vive (Lumsden e Wilson, 2005). Si compie così una relazione circolare fra individuo e ambiente, la cui interruzione genera gravi disagi sia singolarmente che socialmente. Gli attuali stili di vita tendono a rendere apparentemente non necessari alcuni legami con i luoghi in cui viviamo, generando così pericolose occasioni di spaesamento e disadattamento.
La nostra specie, come tutti i mammiferi, acquisisce durante stadi ben definiti della vita, sia le capacità cognitive che le abilità che servono ad ognuno per essere indipendente nello svolgimento delle principali attività necessarie alla vita e ai rapporti sociali (Eibl-Eibesfeldt, 1995). Se ad un bambino, nel momento in cui si deve sviluppare una determinata capacità/abilità, non vengono dati i giusti spazi/stimoli, possono determinarsi squilibri e carenze che, transitando attraverso una adolescenza problematica, peseranno in modo decisivo sulla vita dell’individuo adulto (Piaget, 1967).
Le relazioni sociali e l’inserimento dei singoli nei diversi contesti passano attraverso modalità precise che cambiano in ciascuna cultura e che, se disattese, possono essere causa di crescente disagio fino all’esclusione dai contesti sociali. E’ importante in questo caso che la famiglia, come elemento ambientale più prossimo, abbia la capacità e la possibilità di correggere tali situazioni a rischio. L’importanza di questa relazione è tanto più grande se si pensa che tutti gli animali apprendono dall’ambiente/territorio. La nostra specie in particolare, avendo sviluppato anche il linguaggio verbale, che rende particolarmente efficace e precisa la comunicazione, ha la possibilità di trasmettere alle giovani generazioni una grande quantità di saperi e comportamenti attraverso diverse modalità educative, attuate in gran parte dalla scuola (educazione formale); dalla famiglia e dai contesti sociali più prossimi (educazione informale); da gruppi di lavoro o associazioni (educazione non-formale).
Bullismo e cyberbullismo
In un quadro di determinismo biologico, fondamentale per una visione sociobiologica del fenomeno “bullismo”, secondo la Teoria Dinamica dell’Aggressività di K. Lorenz (1976) possiamo definire questo fenomeno, riferito soprattutto agli adolescenti, come aggressività aperta per la costruzione di reti di predominanza reale o virtuale.
L’aggressività è un fattore con proprie appetenze e motivazioni, in cui tuttavia i fattori ambientali e l’esperienza hanno un ruolo fondamentale nel plasmare e rinforzare quanto di istintuale (istinto in senso etologico e non freudiano) ognuno si porta dietro e dentro. E’ in questo senso che gli elementi ambientali svolgono una parte basilare nello sviluppo del fenomeno del bullismo e quindi del cyberbullismo, sia attivo che passivo. Ne sono non solo la culla, ma i mattoni che costruiscono sia i contesti in cui il fenomeno ha la possibilità di manifestarsi che le motivazioni proprie che formano il bullo e le sue vittime.
In questo contesto evidenzierò soprattutto gli elementi ambientali che influenzano la “nascita” del bullismo, essendo il cyberbullismo un fenomeno ad esso associato che ne differisce solo nell’uso dei mezzi utilizzati.
Fattori ambientali
La famiglia.
La famiglia è il primo nucleo sociale del bambino. In questa sede deve acquisire le prime regole comportamentali che gli permetteranno di inserirsi in modo corretto nei diversi contesti sociali. Per facilitare la socializzazione è necessario che il bambino abbia la possibilità di coltivare differenti tipi di relazione e che abbia chiaro come in ciascuna di esse sia collocato gerarchicamente [1]. Attualmente in Italia il nucleo familiare medio è composto da 2,4 persone; pochi comprendono più di un figlio. L’indagine “Genitori in gioco”[2] evidenzia come il 44% dei ragazzi intervistati dichiara di giocare da solo quando si trova a casa, preceduto da un 47% che dichiara di giocare con fratelli e sorelle, il 33% con gli amici e infine con papà (17%) e mamma (12%).
Dall’indagine “Aspetti della vita quotidiana”[3] è emerso che, nel caso di bambini dai 3 ai 6 anni, il 72,8% gioca tutti i giorni con la mamma e il 46,1% con il papà. La metà dei papà gioca con loro in media mezz’ora al giorno, mentre il 25% circa un’ora; il 31% delle mamme trascorre con i figli una o due ore e solo il 5% di loro passa più di 3 ore al giorno coi propri bambini. Considerando che attraverso il gioco passa la comunicazione profonda tra adulti e bambini (Piaget, 1967), possiamo facilmente intuire quale importanza abbia la quantità e la qualità del gioco nella crescita di ogni persona.
Il gioco è la simulazione della vita e rappresenta un’occasione insostituibile per fare esperienze significative per la crescita, perché favorisce l’apprendimento e la capacità di mettersi in relazione con l’altro stimolando, contemporaneamente, fantasia e creatività. L’esperienza fondamentale del gioco insegna al bambino ad avere fiducia nelle proprie capacità, gli permette di conoscersi, di scoprire se stesso attraverso la relazione con l’ambiente umano e fisico, di sviluppare in modo completo la sua personalità (Piaget, 1967). E’ importante quindi chiedersi come bambini e ragazzi impieghino il loro tempo libero dagli impegni scolastici. Dal Rapporto di Telefono Azzurro ed Eurispes del 2011 emerge che il 42% dei ragazzi passa davanti alla TV da 1 a 2 ore al giorno; il 24,5% da 2 a 4 ore e il 18,3% oltre 4 ore. Il computer non viene mai usato dal 4,8% dei ragazzi; il 23,6% usa il PC da 2 a 4 ore e il 12% per più di 4 ore. Il cellulare viene utilizzato da 2 a 4 ore al giorno dal 41,4% degli adolescenti e più a lungo dal 27,4%. Le ore non trascorse in compagnia di ICT (Information and communications technology) sono generalmente utilizzate in attività extrascolastiche programmate (sport, lezioni di musica, di lingua, …).
Il gioco spontaneo è un’attività di crescita e sviluppo dell’individuo e non può essere sostituito da altre attività scelte dai genitori o dai giochi al computer, dove il bambino subisce delle regole immutabili stabilite da altri. Nel gioco spontaneo sono i bambini stessi a stabilire le regole che rispetteranno: in quel momento costituiscono un piccolo contesto sociale in cui ciascuno controlla che le regole stabilite vengano rispettate e per questo accetta anche il controllo che gli altri esercitano su di lui (Eibl-Eibesfeldt, 1995). In questo sistema collettivo vi è da parte di ognuno anche l’assunzione di responsabilità dei ruoli che il gioco impone. Ogni variazione rappresenta non solo un nuovo esercizio di creatività, ma anche un modo per discutere tutti insieme sulla nuova opportunità (Piaget, 1967). Chiunque ricordi i suoi giochi d’infanzia con i coetanei sa che molto spesso si impiegava più tempo nello stabilire luoghi e regole del gioco che per “fare il gioco”. Insomma per i bambini il gioco è una attività indispensabile per lo sviluppo della socialità e della loro capacità di cittadinanza.
Se nel gioco genitori e figli hanno un rapporto paritario, questo non può succedere nella vita. Essere amici dei figli invece che genitori significa negare ai bambini fondamentali punti di riferimento. La verifica attuata momento per momento dai bambini, e poi dai ragazzi, di quanto si possano permettere e quanto venga loro permesso non ha nessun carattere, nessun merito e tanto meno demerito: è solo una lotta senza tregua per la formazione della propria personalità. L’assenza di un limite o la confusione dei ruoli compromette l’introiezione delle collocazioni gerarchiche e causa senso di spaesamento e quindi assenza di un corretto posizionamento nel tessuto sociale.
Anche indurre la diffidenza verso l’estraneo, quale esso sia, non protegge i bambini ma genera nella loro mente un acritico rifiuto verso chi non è parte di una ristretta cerchia di persone conosciute. Questa forma mentis nega la possibilità di allargare i propri orizzonti culturali e genera, in un bambino dai rapporti sempre mediati, paura del mondo e della vita. L’incapacità di esplorare serenamente l’altro e di organizzare le proprie risposte nei suoi confronti in modo ragionato, lo predispone a divenire vittima di soprusi.
La scuola.
La scuola per i bulli e i cyberbulli è il luogo d’elezione della loro “espressione”, ma può essere anche la culla della loro formazione. Gli elementi che favoriscono queste forme di socialità distorta possono essere individuati nei tre principali tipi di rapporti presenti fra le mura scolastiche: docenti – alunni; alunni – alunni; famiglia – docenti.
Il numero sempre crescente di alunni per classe e l’inadeguata preparazione della media dei docenti alla didattica moderna e alla comunicazione multimediale, tristi segnali della scarsa attenzione sociale verso la scuola, favoriscono da parte di molti alunni la convinzione dell’inutilità dell’istituzione scolastica e, per traslazione, dell’istruzione. Si determina così un rapporto poco armonioso, in cui i ruoli non vengono rispettati e dove i docenti sono a volte costretti a surrogare la diminuita autorevolezza con l’autoritarismo, mentre gli alunni si costruiscono reti gerarchiche autonome in sostituzione di quelle istituzionali, che non riescono a percepire.
Alle motivazioni già esposte, negli ultimi anni è venuta a sommarsi una sorta di “conflitto di competenze educative” fra scuola e famiglia, che vede in molti casi i genitori impegnati in una acritica difesa dei figli e dei loro comportamenti, quali che siano. L’atteggiamento, che di fatto nega ai giovani in crescita importanti punti di riferimento culturali, sociali e gerarchici, è attualmente in un momento di “presa di coscienza” da parte delle amministrazioni locali e scolastiche, che stanno cercando nuove modalità operative nell’assetto dell’organizzazione didattica. In questo senso, molte scuole sono impegnate in progetti pilota che prevedono una più stretta corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia, anche grazie alle Linee di Indirizzo su “Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa” che il MIUR ha recentemente redatto [4].
E’ bene ricordare anche che le strutture scolastiche sempre più fatiscenti e l’assenza di un adeguato numero di personale ATA (Ausiliario, Tecnico e Amministrativo), favoriscono le occasioni di avere dentro la scuola zone franche in cui possono crearsi situazioni a rischio.
La società.
La sostanziale assenza di gioco spontaneo di cui si è già detto, coniugata ad una iper-protezione dei bambini, che si sostanzia nella negazione dell’esperienza corporea, sono causa della crescita di un “corpo ignorante”, che spesso arriva all’adolescenza senza aver esperito il dolore fisico come conseguenza di atti causati o subiti. Tengo a chiarire che non è di atti violenti che parlo, ma di quegli atteggiamenti e gesti come uno spintone che causa una lieve caduta o uno strillo, che intimorisce l’altro, che nel gioco della prima infanzia sono assolutamente normali. Sono questi atti, che un bambino indirizza verso un coetaneo, ad essere subitaneamente condannati dal gruppo, che tende ad espellere l’insolente perché lo avverte come fonte di disturbo del gioco. E’ questo il momento in cui cominciano a emergere i freni inibitori degli atti violenti. Il desiderio di essere accolto nuovamente nel gruppo per poter continuare a giocare è uno dei primi “esercizi” che favoriscono la modulazione dell’aggressività e il controllo della prossemica. E’ nella prima infanzia che appaiono quegli atteggiamenti protettivi da parte degli individui più “forti”, che altro non sono che rituali compensativi per l’aggressività “domata” (Lorenz 1976). Può nascere così, fin dalla più tenera età, il rispetto per la fisicità ed il pensiero dell’altro.
I media, ai quali sono massicciamente esposte le nuove generazioni propongono, per motivi di mercato, da un lato modelli sociali e fisici irraggiungibili, dall’altro modelli comportamentali per i quali la “visibilità”, non importa per cosa, è fondamentale. Il web, con la sua possibilità di raccontarsi in modo falso, favorisce la costruzione di finte personalità, facendo vivere ai ragazzi una doppia vita, in cui quella reale diventa la “minore”. A commento di una ricerca fatta dal Girl Scout Research Institute (2013), che dimostrava come le teenager tra 14 e 17 anni “imbrogliano” più dei ragazzi sia sulla propria immagine che sul carattere, la psicologa Kimberlee Salmond affermava che “Il web non è insomma il luogo in cui le ragazze riescono a tirar fuori la propria autentica personalità“.
Il territorio.
Il rapporto emotivo e sensoriale delle giovani generazioni con i luoghi naturali e le specie selvatiche è, nel migliore dei casi, sporadico. La sua assenza osteggia la piena maturazione della sensorialità e frena l’acquisizione del senso di appartenenza al proprio paesaggio culturale (Bateson, 1976). L’abitudine di condurre bambini e ragazzi a parchi acquatici e zoo safari dà ai giovani una visione distorta della natura e dei rapporti che dovremmo avere con essa. Il risultato è che se i bambini vengono condotti in un bosco, pensano che “non c’è nessuno” perché ignorano la fatica e la pazienza che deve sperimentare chi vuole entrare veramente in contatto con un’altra specie. Si realizza così nella mente del futuro cittadino l’immagine di una natura prêt-à–porter, oggettivizzata e privata del rispetto che richiede. E’ sulla base di questa concezione che trae origine l’idea per cui è possibile realizzare qualsiasi opera senza fare i conti con fiumi, monti e colline. Idea che sta portando il nostro amato Pianeta, con noi sopra, verso il disastro.
L’abitudine degli adulti di andare in palestra in auto per pedalare su una bici ferma, suggerisce di portare i bambini a scuola in auto, anche se andando a piedi si fa prima. Questa consuetudine non è deleteria solo in termini di aumento di CO2 nell’atmosfera, ma soprattutto perché compromette nel bambino e nel ragazzo lo sviluppo del senso di orientamento e dell’indipendenza, ostacola l’acquisizione di abilità spaziali e peggiora anche le capacità di apprendimento e l’autostima (Rissotto e Tonucci, 2002). La possibilità di poter percorrere il tragitto da casa a scuola da soli, senza adulti, dà ai bambini e ai ragazzi una ulteriore spinta all’indipendenza e alla capacità di osservazione. Molte collaborazioni fra Scuole e Comuni stanno producendo progetti che vanno in questo senso: dai progetti Pedibus che prevedono percorsi sicuri per gli alunni, a quelli come CO2nnect-CO2 on the way to school, che promuove la formazione di reti europee di scuole che comunicano attraverso un sito web[5]. Il progetto, partendo dal percorso casa-scuola, affronta le tematiche dell’educazione alla pace e alla sostenibilità. Fra gli obiettivi, il rapporto che si stabilisce fra i ragazzi di età diversa affinché i “più grandi” possano aiutare i più giovani lungo la strada.
Il tempo.
La continua presenza dei media con il loro continuo tam tam informativo e l’ininterrotto utilizzo del web anche quando si è in compagnia di altre persone o durante i pasti, spingono verso una realtà dell’oggi nella quale ieri è passato remoto, perché annegato nel profluvio di nuove inform-azioni, e il domani non è programmabile perché non se ne ha il tempo. La realtà vissuta in modo sincronico e non diacronico rende incapaci di “storicizzare” le azioni compiute e la vita stessa, generando gravi difficoltà nel progettare il futuro (Lacci et al., 2001). La velocità con cui il pensiero appena formulato viene “messo in rete” diminuisce la capacità di riflessione e se è facile resettare con un click le parole scritte non è così per i danni che queste hanno provocato.
Il distacco dal fattore tempo che le giovani generazioni stanno inconsapevolmente attuando può essere, per l’equilibrio sociale e culturale di tutti, molto più pericoloso di quanto si possa credere.
Conclusioni
Gli elementi ambientali su cui ho suggerito alcune riflessioni di tipo sociobiologico e culturale, sono stati scelti perché determinanti nello sviluppo di distorsioni nei rapporti interpersonali. Voglio sottolineare come tutti conducano, in qualche modo, ad un distacco dell’individuo dall’ambiente reale e, nonostante vi sia un continuo, apparente rapporto con gli altri attraverso i media e i canali sociali preconfezionati, la persona tende a segregare il suo modo di essere dentro se stessa, rischiando di perdere il contatto sensoriale ed esperienziale con tutto quello che fisicamente lo circonda, negando la propria natura. Riconoscere al corpo dei bambini e dei ragazzi il diritto all’esperienza, può significare ricondurre la mente a forme più organiche di sviluppo psichico, in grado di rendere più armoniosi i rapporti tra gli individui entro il tessuto sociale.
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[1] La gerarchia, per tutti gli animali sociali, rappresenta una forma di organizzazione utile a evitare forme di aggressività interna al gruppo sociale e nella difesa dalle aggressioni esterne al gruppo (Eibl-Eibesfeldt, 1995). Nel nostro caso, pur avendo perduto la rigidità che perdura nelle altre specie di primati superiori, rimangono necessarie quelle strutture che servono ad organizzare il lavoro e a rendere più chiari alcuni rapporti sociali che spesso preferiamo definire come forme di “rispetto per” il maestro, il nonno, il padre, l’esperto, il sindaco, il presidente, ecc. L’evoluzione verso forme di democrazia sociale suggerisce di definire “di responsabilità” invece che “di potere” molte collocazioni di rilievo, per evidenziare come chi le ricopre debba a sua volta “essere rispettoso” verso chi lo ha collocato in quella posizione.
L’assenza di chiarezza sulla propria collocazione in qualsiasi contesto sociale è sempre causa di conflitti fisici e/o psichici, che possono divenire anche molto gravi. Chiaro esempio sono le uccisioni di donne da parte dei loro partner o ex partner che perdendo, o presumendo di aver perduto, un loro status arrivano ad atti estremi per tentare di riconquistarlo.
[2] L’indagine è stata realizzata nel 2009 dalla “Bottega dell’educare” della onlus Pepita (cooperativa sociale che si occupa di progetti educativi in tutta Italia) in collaborazione con il CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Informazione e alla Tecnologia) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, condotta su un campione di 2000 ragazzi tra gli 8 e i 17 anni.
[3] Dati tratti dall’indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” svolto dall’Istituto Nazionale di Statistica nel 2010 in convenzione con i Ministeri del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.
[4] Nel gennaio del 2012, il Dipartimento dell’Istruzione del MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), in risposta al dilagante fenomeno del bullismo, ha redatto delle Linee di Indirizzo su “Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa”. Il documento parte dagli articoli della Costituzione che riguardano l’istruzione e riorganizza i diversi provvedimenti che negli anni hanno consentito, allargato e sollecitato la partecipazione dei genitori negli organismi scolastici e quindi nelle scelte educative che la scuola compie. Il documento, “redatto sulla base delle indicazioni e dei suggerimenti forniti dal FoNAGS (Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola) rappresenta il riconoscimento del ruolo che le famiglie esercitano (…) per contribuire significativamente e attivamente alla definizione dell’autonomia didattica e culturale della scuola (…) per offrire ai ragazzi la più alta opportunità di sviluppo armonico e sereno” (Dalla lettera di accompagnamento del documento inviato agli organismi scolastici competenti).
[5] ”CO2nnect-CO2 on the way to school” è un progetto di educazione alla sostenibilità sviluppato da partner e membri del progetto ”SUPPORT: partnership e partecipazione per un domani sostenibile” del programma di Apprendimento Permanente Comenius dell’Unione Europea. Finanziato dal Ministero dell’Ambiente della Norvegia, il percorso educativo permette la comunicazione fra scuole attraverso il sito www.co2nnect.org del quale ho personalmente curato l’edizione italiana.
Bibliografia
Gregory Bateson. Verso un’ecologia della mente. Adelphi Edizioni, Milano. 1976.
Irenäus Eibl-Eibesfeldt. I fondamenti dell’etologia. Adelphi Edizioni, Milano. 1995.
Anna Lacci et al. Ambiente, Uso delle Risorse, Sviluppo Sostenibile. Percorsi curricolari per una integrazione possibile della Scuola Media Superiore nel Sistema Territoriale. Laboratorio Territoriale della Provincia di Lucca. 2001.
Martin Lindauer. Messaggio senza parole. Come comunicano gli animali. Arnoldo Mondadori Editore, Milano. 1992.
Charles J. Lumsden, Edward O. Wilson Genes, Mind, And Culture: The Coevolutionary Process. World Scientific Publishing Company. 2005.
Konrad Lorenz. L’aggressività. Il Saggiatore, Milano. 1976.
Jean Piaget. Psicologia e sviluppo mentale del bambino. Giulio Einaudi Editore, Milano. 1967
Antonella Rissotto, Francesco Tonucci. Autonomia di spostamento e conoscenza ambientale in bambini di scuola elementare. Journal of Environmental Psychology 22, pp. 65-77. 2002.
Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.