Le mele non cadono lontane dall’albero, si dice. Vero. Ma è così solo in apparenza. Certo, Newton si è beccato una mela in testa proprio perché la mela è caduta ai piedi dell’albero sotto cui meditava. Quei frutti succosi, che hanno suggerito al giovane Isaac la legge di gravitazione universale, per l’albero di mele rappresentano una sorta di taxi per colonizzare posti lontani. Dolci merende per mammiferi, uccelli e rettili che, in cambio, portano in luoghi sconosciuti all’albero i semi che hanno mangiato insieme alla polpa e che disseminano poi con gli escrementi anche a grandissima distanza dalla pianta madre (disseminazione endozoocora).
Tutti i frutti selvatici che abbiamo “addomesticato” per meglio adattarli ai nostri gusti, sono stati originariamente “pensati” da mamma natura per aumentare la possibilità di sopravvivenza della discendenza: ogni pianta deve allontanare da sé i semi che produce per evitare che, cadendo tutti a breve distanza, entrino in competizione con lei per l’acqua, la luce, le sostanze nutritive e lo spazio. In questo senso anche la forma arrotondata della maggior parte dei frutti favorisce il rotolamento sui terreni inclinati e quindi l’allontanamento dalla pianta madre.
Questo tipo di dispersione viene definito autocora e rappresenta solo uno degli ingegnosi stratagemmi per agevolare l’allontanamento dei frutti, e quindi dei semi, dalla pianta.
Prima di continuare a guardare da vicino i diversi tipi di strategie che le piante usano per allargare il loro areale di diffusione, dobbiamo riflettere anche sulla diversa funzione che hanno i due tipi di riproduzione: asessuata e sessuata.
Un chiaro esempio di riproduzione asessuata è quella descritta da Beatrice Lupi a proposito delle fragole in https://www.earthgardeners.it/2024/05/03/la-strategia-della-fragola/
Questa strategia serve per moltiplicarsi e colonizzare rapidamente il terreno intorno alla pianta, competendo con le altre specie per l’occupazione dello spazio a disposizione attraverso un progressivo infittimento. Non è però adatta nel caso in cui mutate condizioni ambientali richiedano una variabilità che dia alla specie una maggiore possibilità di adattamento, visto che quelle che a noi sembrano piantine diverse sono, in realtà “pezzi” della stessa pianta. Va sottolineato, inoltre, che questa strategia riguarda soprattutto le specie erbacee e arbustive.
Nel caso della riproduzione sessuata, quella che si ottiene con la disseminazione di “veicoli” che contengono semi, essendo il risultato dell’impollinazione, quindi del “rimescolamento genetico”, esprime individui differenti.
Evidente l’importanza di far arrivare quanto più lontano sia possibile i semi che daranno vita a individui differenti e che serviranno alla specie ad avere una maggiore possibilità di diffusione.
Ma torniamo a parlare dei diversi “trucchi” messi in atto dalle piante per colonizzare il mondo.
Alcune di loro come la bardana, la carota e molte altre, utilizzano gli animali che passano nelle immediate vicinanze: sviluppano una serie di uncini, aculei o dentelli per aggrapparsi al pelo dei mammiferi o alle penne di un uccello e percorrere, così, diversi chilometri. Molte di esse hanno avuto la possibilità di colonizzare addirittura nuovi continenti attraverso le migrazioni degli uccelli. (Disseminazione zoocora).
Vi sono poi piante più specializzate che utilizzano particolari animali nella loro strategia di dispersione: esse rendono appetibili i propri semi per le formiche, dotandoli di speciali appendici chiamate elaiosomi che contengono sostanze nutritive zuccherine. E’ la mirmecocoria, una strategia comune a diverse specie tra cui l’Erba trinità o Erba epatica (Hepatica nobilis), la Stregona palustre (Stachys palustris), il Bucaneve, le Violette, il Camedrio femmina (Teucrium fruticans) e non è l’unico tipo di collaborazione tra piante e formiche.
La dispersione che sfrutta il vento (anemocora) è probabilmente la più antica da un punto di vista evolutivo e fa uso di “ali e vele”. Sono i frutti tipici di aceri, frassini e olmi: le samare, frutti secchi indeiscenti, che cioè non si aprono a maturità, con una o due ali (in questo caso disamare).
E’ sempre sul vento che fanno affidamento anche quei semi o con ciuffi di peli variamente disposti come nel caso dell’Oleandro, della Clematide o del Tarassaco.
Nel caso dell’Oleandro (Nerium oleander) i semi sono contenuti in una sorta di fuso che, seccandosi, si apre e lascia che il vento porti via i semi. Diversa la situazione del Tarassaco, che preferisce affidare al vento i semi che si staccano direttamente dal capolino portati via dai delicati pappi.
Fra le specie che utilizzano il vento per propagarsi, la maggior parte di quelle che appartengono al genere Salsola hanno adottato un sistema decisamente originale.
Ricordate quei cespugli che nei film western rotolavano sulle pianure aride attraversate dal pistolero a cavallo? Non erano una trovata dei registi per animare le scene, è un genere di piante erbacee e arbustive della famiglia delle Amarantacee che cresce tipicamente su terreni piatti, spesso secchi e talvolta anche salini, diffuse praticamente su tutto il Pianeta.
Queste piante sono note soprattutto per una peculiarità condivisa da alcune altre specie, in particolare la Salsola tragus: in autunno il cespuglio di alcune specie annuali si stacca dalle radici e forma una “palla” vegetale che, sospinta dal vento, rotola lontano percorrendo anche grandi distanze nei territori pianeggianti dove tali piante sono solite crescere, permettendo in questo modo la dispersione dei semi. Questa curiosa formazione vegetale, chiamata Rotolacampo (tumbleweed in inglese), è tanto diffusa da essere diventata, nell’immaginario collettivo, quasi un simbolo dei deserti centro e nord americani nei quali è una presenza costante del paesaggio nelle giornate ventose autunnali.
Una strategia presente nei gerani (Geranium sp.) ma non particolarmente diffusa nella flora italiana, sfrutta la presenza di tessuti contrattili nel frutto che, a maturità, lancia i propri semi a distanza di alcuni metri come se venissero tirati da una fionda.
Questo sistema di disseminazione è particolarmente evidente e facile da osservare nel Cocomero asinino (Ecballium elaterium). All’interno del suo frutto, un peponide carnoso verde ricoperto da una “peluria” biancastra, galleggiano in una sostanza mucillaginosa decine di semi di colore bruno. Tale sostanza è soggetta a una fortissima pressione idraulica interna, che nel periodo di massima maturazione è superiore a quella che si rileva all’interno di uno pneumatico. Appena lo si sfiora, il frutto del Cocomero asinino esplode letteralmente, rilasciando il liquido e lanciando fuori i semi che si spargono fino a 12 metri di distanza con una velocità che arriva fino a 10 metri al secondo! (Dispersione bolocora). Non è raro che allo scoppio di un frutto di Cocomero asinino faccia seguito l’esplosione di uno stesso esemplare adiacente, dando il via a una reazione a catena dal grande impatto visivo.
Anche l’acqua può aiutare i semi a viaggiare per il mondo (dispersione idrocora). Sfruttare l’acqua come mezzo di trasporto è tipico non solo delle piante acquatiche e degli alberi che crescono a ridosso di bacini idrici, ma anche di quelle specie i cui i frutti possono essere spinti dalla correnti per lunghe distanze e, arrivati ad un certo grado di assorbimento di acqua si spiaggiano e mettono radici.
Come per tutte le cose naturali, la classificazione non é rigida, alcuni semi/frutti possono utilizzare diversi sistemi. Per esempio le ciliegie possono sia rotolare lungo un pendio che essere mangiate e poi disseminate da merli e tordi.
Girellando per campagne, parchi e tratturi può essere divertente guardare le erbe, i cespugli e gli alberi che si incontrano per cercare di capire qual è il loro sistema preferito per disperdere i propri semi.
Crediti
Autrice:
Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.