L’unico tipo di frutta coltivata che continua a maturare in febbraio sono gli agrumi che, com’è noto, sono arrivati nell’Europa meridionale dall’Estremo Oriente. L’altra frutta che troviamo sui banchi dei negozi è stata conservata dalla fine dell’estate o dall’autunno.
Uccelli e mammiferi possono però contare su diversi frutti che, sebbene maturati in autunno, restano sulla pianta anche fino all’inizio della primavera. La loro abbondanza è uno dei fattori importanti per la sopravvivenza degli uccelli stanziali durante i mesi freddi.
Così, mentre i pruni cominciano timidamente a colorare i loro rami spogli di piccoli fiori bianco-rosati, il Biancospino (Crataegus monogyna) continua ad offrire per tutto l’inverno le sue drupe rosse a passeriformi grandi e piccoli. Approfittano dei suoi frutti, infatti, sia piccoli i passeriformi canori, come cince, codirossi spazzacamino e fringuelli, che quelli di taglia maggiore come tordi, cornacchie, gazze e storni.
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Il Biancospino è un arbusto dalle foglie caduche che in rari casi riesce a raggiungere i sei metri d’altezza, appartenente alla famiglia delle Rosaceae. I suoi rami spinosi rendevano questa specie adattissima a costituire quelle siepi interpoderali che, prima della meccanizzazione dell’agricoltura, delimitavano i confini degli appezzamenti. Le spine e il fitto intreccio dei rami rendevano quelle siepi barriere pressoché impenetrabili. Attualmente lo troviamo sui limiti dei boschi e nelle radure. Lo si può trovare anche nel sottobosco, ma in questi casi difficilmente riesce a fiorire e quindi a fruttificare.
Questa specie è molto generosa con i suoi ospiti durante tutto l’anno: mentre fiorisce, in primavera, offre alle api abbondante nettare da bottinare; durante l’inverno i suoi frutti rossi, nutrono gli uccelli e regalano alla nostra specie “materiale” per fare marmellate per golosi e sciroppi per aiutare chi soffre di disturbi cardiaci o nervosi.
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Altra comune Rosacea che lascia che i suoi frutti aiutino l’avifauna durante l’inverno perché in cambio portino i suoi semi lontano per colonizzare altri luoghi, è la Rosa canina (Rosa sp). In realtà quando parliamo di Rosa canina ci riferiamo generalmente alle rose selvatiche e quindi solo al genere perché le numerosissime varietà e i numerosi ibridi non facilitano la determinazione delle specie.
Ma perché Rosa canina? Cosa c’entrano i cani? Cinorrode è il nome scientifico dei frutti delle rose; la parola deriva dal greco kunorrhodon che significa “rosa dei cani”. Questi frutti, contenenti grandi quantità di vitamina C e possono diventare buone marmellate o gustosi infusi.
Troviamo le rose selvatiche su suoli abbastanza profondi, limosi e moderatamente aridi, in boscaglie di faggio, Abete, Pino e Querce a foglie caduche; possono costituire insieme ad altre specie arbusteti e siepi, fino ad una quota di 1900 m.
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Ricordiamo ancora una Rosacea: l’Agazzino (Pyracantha coccinea); anch’esso come quasi tutte le specie appartenenti a questa famiglia, è spinoso e mantiene a lungo i frutti sulla pianta. Al contrario delle specie precedenti, però, questa è una sempreverde; questa caratteristica e l’acceso rosso che colora i suoi frutti, le fanno guadagnare anche il nome di “Roveto ardente” e sono il motivo della grande diffusione di questa specie come pianta ornamentale. Con grande gioia e soddisfazione dell’avifauna.
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Altra specie che tenta uccelli e piccoli roditori con le sue drupe di un vivace arancione carico è l’Olivello spinoso (Hippophae rhamnoides). Questa specie, pur appartenente allo stesso ordine delle precedenti, le Rosales, è una Eleagnacea. È un piccolo arbusto appartenente alle latufoglie, deciduo e dioico (i fiori maschili e femminili sono su piante diverse), con rami spinosi e foglie lanceolate:
È una specie pioniera e quindi colonizza anche i suoli molto poveri. Sopporta il vento, il freddo intenso e vive anche in terreni salini, vicino al mare, essendo alofita (sopporta bene i terreni salmastri). È utilissima per contrastare l’erosione dei suoli e delle coste grazie all’ampio apparato radicale; vegeta in ambienti soleggiati perché eliofila (ama il sole) e non teme la siccità.
I frutti dell’Olivello sono particolarmente graditi ai Gallinacei, spesso rappresentano la sola risorsa invernale nelle terre popolate da questo arbusto, che in tedesco viene chiamato, guarda caso, Fasenbeere, ovvero “bacche da fagiani”. Il suo fogliame fitto e l’intreccio dei rami offrono un comodo rifugio agli uccelli che vi trovano, contemporaneamente, asilo e nutrimento.
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Vogliamo, infine, ricordare una delle specie “regine” della flora mediterranea: il Carrubo (Ceratonia siliqua). È una specie sempreverde, prevalentemente dioica, raramente presenta fiori di ambedue i sessi sulla stessa pianta. Può capitare di avere sullo stesso Carrubo contemporaneamente fiori, frutti e foglie, essendo la maturazione dei frutti molto lunga.
I frutti sono dei lomenti: grandi baccelli indeiscenti lunghi 10-20 cm, spessi e cuoiosi, dapprima di colore verde pallido, in seguito quando sono maturati, nel periodo compreso tra agosto e ottobre, marrone scuro. La superficie esterna è molto dura, con polpa carnosa, pastosa e zuccherina che indurisce col disseccamento. Non è perciò un frutto facilmente aggredibile dai becchi degli uccelli, mentre i grandi mammiferi, come cavalli, maiali, mucche, cervi hanno una grande passione per le dolci carrube.
Questo bellissimo albero, che può diventare pluricentenario, è una pianta rustica, poco esigente, che cresce bene in terreni aridi e poveri, anche con molto calcare, sopporta bene i climi caldi, ma non resiste alle forti gelate.
Specie a crescita lenta ha dei semi, i carati, di forma lenticolare, durissimi e dal peso perfettamente costante che venivano usati in passato per pesare oro e pietre preziose; da qui la denominazione di “carati” per questa unità di misura.
Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.