Negli anni ’60 per insegnare ai bambini della prima elementare i nomi dei mesi si faceva recitare una filastrocca; quando si arrivava a marzo la filastrocca recitava “marzo pazzerello, se c’è il sole prendi l’ombrello”. Si riferiva alla variabilità del tempo di inizio primavera, spesso soggetto a sbalzi di temperatura e cambiamenti atmosferici imprevisti.
In questo mese le erbe, che hanno cominciato a spuntare già a metà febbraio, cominciano a fiorire, i pruni e i mandorli sono ormai quasi sfioriti e … i frutti? Sono rarissimi i frutti selvatici che maturano in questo mese, come per il febbraio gli animaletti che si nutrono di frutta o di semi devono accontentarsi di quelli che hanno cominciato a maturare in autunno e che persistono sui rami.
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Se facciamo però una passeggiata in boschi ombrosi e freschi o in luoghi sassosi rupestri e ruderali è facile scorgere, già a metà mese, le bacche carnose di colore scarlatto, degli Arum un genere comune in tutta l’Europa temperata, che comprende 25 specie, delle quali cinque appartengono alla flora spontanea italiana. Le diverse specie hanno lievi varianti più nei colori che nella forma e vengono chiamate con il nome generico di Gigaro.
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Sono specie monoiche: fiori maschili e femminili separati, posti lungo un asse chiamato spadice. Fiori sterili ostruiscono in parte l’ingresso della sezione inguainante della spata, con il compito di intrappolare gli insetti che, dibattendosi, favoriscono l’impollinazione dei fiori femminili. Dopo la fecondazione la spata subisce un rapido avvizzimento mentre le bacche si rendono visibili. Infatti è facile incontrare le rosse pannocchie senza altra vegetazione intorno. Queste bacche vengono chiamate anche Pan di serpe, perché si pensava che le sue bacche mature fossero l’alimento del Biacco. Cosa assolutamente non vera perché i serpenti sono animali carnivori e i frutti sono velenosi, come d’altronde tutta la pianta.
Continuando nella nostra passeggiata nel bosco possiamo trovare ancora sull’Agrifoglio (Ilex aquifolium), le sue coloratissime bacche rosse. E’ un albero sempreverde, a crescita piuttosto lenta, che però può raggiungere un’età di diverse centinaia di anni. Essendo una specie dioica ha fiori femminili e maschili su piante diverse.
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La si trova in siepi, boschetti di pianure e montagne dell’Europa centro occidentale, fino a 1400 m e avendo esigenze ecologiche simili a quelle del Faggio (Fagus sylvatica) lo accompagna fedelmente quasi ovunque.
La pianta si sviluppa sfruttando un meccanismo di autodifesa, che fa sì che nella parte bassa le foglie siano più pungenti rispetto a quelle in alto per potersi proteggere dal pascolamento.
Le bacche della pianta sono velenose per l’uomo, per questo non vanno né mangiate, né messe in infusione perché contengono una sostanza tossica detta ilicina. I tordi, i merli e gli altri uccelli, invece, possono mangiarle senza problemi.
La vegetazione mediterranea è spesso definita “impenetrabile”. Uno dei motivi per cui questa definizione è decisamente pertinente è dovuto alle diverse specie lianose che si arrampicano sui diversi alberi e che possono creare una sorta di “tessuto” fra i tronchi.
Fra le diverse liane desideriamo ricordarne due: entrambe producono bacche che aiutano molte specie di avifauna a superare l’inverno. Parliamo della Madreselva o Caprifoglio mediterraneo (Lonicera implexa) e della Salsapariglia (Smilax aspera).
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La Madreselva è un arbusto rampicante sempreverde, con rami volubili che cresce nell’intervallo altimetrico tra 0 e 800 metri s.l.m; vegeta in associazione con arbusti che fungono da sostegno, soprattutto con il Lentisco (Pistacia lentiscus) nei boschi di Leccio (Quercus ilex), fra macchie e siepi. Il frutto, una bacca ovoidale di colore rosso-arancio che comincia a maturare in autunno, rimane sui rametti a oltranza. E’ un elemento tipico della macchia mediterranea e, oltre che nelle selve, la si può trovare facilmente nei coltivi abbandonati.
Come dicevamo, anche le bacche della Salsapariglia, che giungono a maturazione in autunno, possono persistere sulla pianta anche fino ad aprile. I frutti sono bacche rosse, riunite in grappoli, che contengono semi minuscoli e rotondi. Insipide e poco appetibili per l’uomo, costituiscono una fonte di nutrimento per numerose specie di uccelli. La Salsapariglia cresce spontanea nei boschi e nelle macchie. È una specie legata essenzialmente all’ambiente delle sclerofille, dalla lecceta alle sue forme degradate e alla gariga, ad altitudini che vanno dal livello del mare fino a 1.200m.
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E’ una pianta sempreverde, spinosissima, tanto da essere nota anche col nome comune di stracciabraghe, stracciabrache e strazzacausi (strappapantaloni). Nel Sannio beneventano è conosciuta anche con il nome di rascolaiatti (graffia gatti).
Il nome scientifico, Smilax, deriva dal nome di una ninfa della mitologia greca che, perdutamente e infelicemente innamorata del giovane Croco, suicidatosi perché non poteva amarla per l’opposizione degli dei dell’Olimpo, fu trasformata in un rampicante mentre lui venne trasformato in un fiore di Croco.
Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.