Tra i riflessi arabescati dal sole sull’acqua
appena t’accorgi di un lampo d’azzurro
che sfreccia trillando dinnanzi.
Invano con lo sguardo l’insegui…
già è svanito dietro le canneggiole:
era Martino, era il re pescatore.
Dal suo comportamento, dai colori del suo mantello, la fantasia popolare ha tratto i nomi più vari, ora ispirandosi alla rapidità del volo, ai tuffi subitanei per afferrare in acqua le prede, ora invece ai riflessi di gemma delle sue penne. Cercatelo come Martin pescatore nei moderni libri di ornitologia, perché questo è oggi il suo nome, ma invano scorrereste l’indice dei testi classici, dove lo si trova invece indicato con nomi più vicini alle tradizioni popolari e dunque alla provenienza dei vari Autori.
Nei seicenteschi testi latini di Storia Naturale, come quelli di Aldrovandi (1603) e Jonstonus (1657), viene indicato come Ispida, termine etimologicamente legato al becco appuntito, ma forse anche all’aspetto dei nudi nidiacei allorché son coperti (irti) dai calami delle penne in crescita e perché no, come alcuni sostengono, dalle spine di pesce che si ritrovano nel suo nido a cunicolo.
Il dotto Ispida lascia il posto già nel 1601 ad Uccello della Madonna nel trattato del tuderte Antonio Valli e più tardi Olina (1684) lo cita come Uccello Pescatore, nome della tradizione romanesca dove si usava anche quello altisonante di Re Pescatore. Paolo Savi (1827) lo chiama invece Uccel Santa Maria nella sua Ornitologia Toscana, riprendendo il termine con cui nel pisano ed in Versilia, viene popolarmente indicato. L’origine del nome la spiega già l’Olina:…”a Roma e in Toscana chiamasi Uccello Santa Maria, o della Madonna, dal molto azzurro, ch’in esso si vede, del quale come che i Pittori sian soliti ammantarne né loro quadri le figure, che della Madonna dipingono, l’hanno perciò chiamato della Madonna.”
Piombino è detto invece nel bolognese e così sceglie di chiamarlo Bacchi della Lega (1892) appena italianizzando il romagnolo Piomben, che certamente da piombo deriva per quel suo lasciarsi cadere (piombare) sulla preda, su cui ben si sofferma il Savi nel descriverne il comportamento di caccia: “Quando dal luogo dove si è fermato ha scoperto nell’acqua qualcuno degli animaletti di cui cibasi,…, piomba loro addosso perpendicolarmente, e bisognando si tuffa anche un poco. Se poi egli scopre la preda mentre vola, allora si ferma a un tratto, librandosi sull’ali rimane immobile, ed aspetta il momento opportuno per lasciarglisi cadere addosso.”
Re Pescatore, che poi è l’anglosassone Kingfisher, è quasi il corrispondente laico dell’attributo “della Madonna”, in quanto in questo caso si fa riferimento al blu regale del suo mantello ed alle abitudini predatorie.
L’uso del nome Martin pescatore nella letteratura ornitologica italiana è più tardo e fu Arrigoni degli Oddi che così lo indica per primo nel 1902. Esso è inoltre la traduzione del termine francese Martin pecher che richiama San Martino, figura collegata nella tradizione europea al sovvenire dell’inverno e della pioggia a cui questa specie, al pari di altre come picchi, pettirossi o scriccioli,sono sacralmente legati in differenti saghe e mitologie centro europee.
Sono stati tuttavia i suoi colori a colpire la fantasia ed a meravigliare da sempre popolani e scienziati, tanto che Buffon nella settecentesca sua “Storia Naturale degli Ucelli” non è avaro di iperboliche similitudini nel descriverne la composizione cromatica del mantello: “les nuances de l’arc-en-ciel, le brillant de l’email, le lustre de la soie, le jeu du saphir, l’oeil de la turquoise, le rouge enflammé d’un charbon”, ribadendo come “il semble que le Martin pecher se soit echappé de ces climat où le soleil verse avec les flots d’une lumière plus pure, tous les trésor des plus riches couleurs”…romantica immagine dell’appropriarsi dei colori più splendenti e solari che la specie avrebbe in origine fatto per adornare il proprio piumaggio!
E’ in effetti indubbio che martin pescatori, gruccioni e ghiandaie marine, entità certamente vicine dal punto di vista sistematico, portino tra gli uccelli nostrani una impressionante pennellata di colori tropicali. Nell’Africa sub-sahariana si può infatti collocare il baricentro di speciazione di queste famiglie di uccelli che da lì traggono alle nostre latitudini quella caleidoscopica multiformità di colori così comune nelle faune equatoriali.
Se i colori ci stupiscono, le forme del Martin pescatore sono un mirabile esempio di adattamento alle condizioni di vita di questi uccelli. Ghermire una preda acquatica deve essere stata una potente pressione selettiva nel modellare forme e comportamento: ali potenti e muscolatura pettorale adeguata, per avere un volo veloce, fatto di scatti ed impennate improvvise ma anche con la possibilità di arrestarsi, librando sopra le prede. Piumaggio forte, per permettere i continui impatti con l’acqua o gli sfregamenti contro le pareti del tunnel nido che si scava negli argini. Un becco lungo, diritto, appuntito e tetragono, indispensabile per cogliere le prede sott’acqua; ben poca cosa è invece tutto ciò che riguarda il cinto pelvico, che sorregge due piccole zampe visivamente sproporzionate rispetto al resto.
Se l’evoluzionista resta ammirato da quanto gli adattamenti abbiano plasmato le sue forme, non furono così teneri invece gli ornitologi dei secoli passati che lo vedevano goffamente sgraziato, quasi schiavo di costumi tiranni che lo costringevano ad una vita affannosa e grama, piuttosto che vedervi la perfetta soluzione di un problema di predazione a filo d’acqua. Ed in effetti son quasi buffe le descrizioni del Bacchi della Lega (1892) quando afferma che “Natura non gli fu cortese che nelle splendide piume verdi e azzurre, nel resto gli fu matrigna: una grossa testa, un lungo becco, un corpo tozzo piantato su due corte zampine, e una coda ridicola. Nessun canto, nessuna allegria. Insensibile affatto alla bella stagione, fa un verso solo e monotono, una specie di lamento acuto, forse quello che gli strappa la dura fatica, cui per vivere è condannato”.
Quanto carico di successo sia invece il compromesso tra forma e funzione nei martin pescatori è senza dubbio testimoniato dalla omogeneità morfologica che caratterizza le numerose specie di questa famiglia, tutte sorprendentemente simili, dimensioni a parte, a sottolineare il virtuoso percorso adattativo, non successivamente mutato in una radiazione speciativa non certo trascurabile.
Crediti
Autore: N. Emilio Baldaccini. Già Professore Ordinario di Etologia e di Conservazione delle risorse Zoocenotiche dell’Università di Pisa. Autore di oltre 300 memorie scientifiche su riviste internazionali e nazionali. Svolge attività di divulgazione scientifica. E’ coautore di testi universitari di Etologia, Zoologia Generale e Sistematica, Anatomia Comparata.