Il cambiamento climatico rende il sole d’agosto sempre più caldo, le campagne sono ormai secche, ma i fiori non smettono di aprirsi e, anzi, li vediamo spuntare in condizioni che ci sembrano incredibili. E’ il caso della Campanula pugliese (Campanula versicolor). L’intenso colore azzurro delle corolle campanulate spunta, insieme alle foglie carnose di un verde brillante, dalle fessure e dai crepacci delle pareti rocciose calcaree e calcarenitiche delle falesie del basso Adriatico e del Canale d’Otranto e sulle pareti delle Gravine delle Murge di Sud-Est, sino a Matera. La bellissima fioritura, che inizia a luglio e dura tutta l’estate, ravviva un habitat che, per sua natura e per la stagione, sarebbe altrimenti brullo e privo di ogni colore.
L’habitat della specie è infatti rappresentato esclusivamente dalle rocce, di cui colonizza fessure e crepacci, ma la Campanula si può trovare anche su muri, vecchie costruzioni e manufatti di ogni tipo, purché realizzati con il medesimo materiale di origine calcarea.
La Campanula pugliese, pur non essendo una specie endemica, in Italia è limitata quasi esclusivamente al territorio pugliese; il principale areale di distribuzione è localizzato nella penisola balcanica.
E’ fra le rocce che fiorisce anche il Giglio illirico (Pancratium illyricum). È una specie endemica della regione cirno-sardica che comprende Corsica, Sardegna e Arcipelago Toscano. Suo stretto parente è il più comune Giglio marino (Pancratiumo maritimum), che preferisce aprire i suoi grandi fiori bianchi delicatamente profumati sulle dune di tutto il Bacino del Mediterraneo. I semi di questa specie sono molto leggeri (tanto da sembrare piccoli pezzetti di polistirolo nero) e galleggiano, cosicché la disseminazione avviene sia per mezzo del vento che attraverso le correnti marine.
Sulle stesse dune mediterranee, la comune e spinosissima Carota spinosa (Echinophora spinosa) continua a fiorire da giugno con le ombrelle bianche, mentre da luglio i litorali più sassosi e le basse falesie ospitano le piccole ombrelle dai piccoli fiori bianco-giallastri del Finocchio marino (Crithmum maritimum). Questa specie, che cresce anche sui moli, è commestibile e si abbina bene con i piatti di pesce. E’ molto usata nel Conero; i problemi connessi alla raccolta delle piante spontanee, protette dal regolamento del Parco del Conero, vengono facilmente superati coltivando la pianta in vaso o nell’orto. Anche in Salento e nell’isola di Maiorca il Finocchio marino è molto utilizzato in cucina, mentre in Corsica se ne ricava un olio essenziale.
Il Finocchio selvatico (Foeniculum vulgare) anche se dotato di profumo e sapore molto simili, e pur avendo lo stesso nome comune, è una specie assai lontana dal Finocchio marino. I piccoli fiori di colore giallo/verdino sono riuniti in ombrelle apicali e fioriscono mentre le cicale riempiono l’aria con il loro frinito.
Di questa specie viene utilizzato tutto e ogni regione italiana ne fa un uso particolare.Si usano i fiori per aromatizzare le castagne bollite, i funghi al forno o in padella, le olive in salamoia e le carni di maiale, in particolare la “porchetta” dell’Alto Lazio e dell’Umbria. In Toscana viene usato per insaporire e profumare la finocchiona, un salame tipico. I cosiddetti “semi” (in realtà sono i frutti) si usano soprattutto per aromatizzare gli squisiti taralli pugliesi, ciambelle o altri dolci casalinghi e per speziare vino caldo, tisane e salamoie. In Piemonte fanno parte della ricetta del “finocchino”, un tipico biscotto. Nelle regioni costiere del Tirreno è essenziale per produrre il “liquore di finocchietto”.
Particolarmente profumato e anch’esso utilizzato a scopo culinario è il Timo arbustivo (Thymbra capitata), che in questo periodo vede aprire i suoi ultimi fiori piccoli e tubolari riuniti in graziose infiorescenze, dai colori che vanno dal bianco al roseo-purpureo. Anche questa specie è molto comune in tutto il Bacino del Mediterraneo e, vivendo in ambienti particolarmente caldi e aridi, spesso assume portamento “a cuscino” (pulvino).
Per tutta l’estate scogliere e falesie sono impreziosite dalle fioriture delle diverse specie di Statice (Limonium spp.). Nonostante il sole cocente e il riverbero delle rocce brucino le foglie, gli scapi fiorali lasciano aprire piccoli, delicati e numerosi fiori che variano dall’azzurro chiaro al rosa.
A questo genere appartengono decine di specie e sottospecie, che tendono a “endemizzare”, a diventare cioè nuove specie che si trovano in piccolissime aree. Il fenomeno è dovuto, oltre che alla plasticità genetica che caratterizza questo genere, anche al fatto che sulle scogliere si creano facilmente microhabitat isolati con caratteristiche peculiari. Tanto che in alcuni casi si possono osservare più forme endemiche distanti fra loro solo poche decine di metri.
I terreni sassosi, sabbiosi o incolti, i ruderi e le macerie ospitano spesso una pianta molto graziosa, dai fiori giallo pallido scuri all’interno, altamente tossica per l’uomo: il Giusquiamo bianco (Hyoscyamus albus). Nelle foglie, nei semi e nelle radici sono contenuti principalmente due alcaloidi: la josciamina e la scopolamina, che durante il riscaldamento o l’essiccamento delle parti si trasformano in atropina. La loro ingestione dà assopimento, sonno profondo e può addirittura provocare la morte. L’areale di distribuzione di questa specie, pur essendo centrato sulle coste mediterranee, si prolunga verso nord e verso est, coincidendo con l’area della vite. Al Giusquiamo può fare compagnia la Nappola minore (Xanthium strumarium), che ha fiori maschili e femminili separati e diversificati morfologicamente, difficili da individuare perché il loro colore verdastro fa sì che si distinguano male dal resto della pianta.
Anche il Pomo di sodoma (Solanum linnaeanum), che in questo mese sfoggia bellissimi fiori di colore violaceo riuniti in infiorescenze a corimbo, ha frutti che contengono un alcaloide altamente tossico: la solanina. Questa specie, che ama terreni sabbiosi, deve il suo nome comune ad una leggenda legata all’episodio biblico dell’incendio di Sodoma, in seguito al quale la regione sarebbe divenuta totalmente sterile. Fu il “pomo di Sodoma” l’unica pianta a cui la volontà divina permise di crescere: produceva infatti frutti all’apparenza belli ed invitanti, che però contenevano solo cenere e fumo.
Le fioriture agostane, si può intuire da quanto detto, hanno due caratteristiche fondamentali: l’aromaticità e la spinosità, due modi per difendere le piante in fiore dal pascolamento, in un momento in cui l’erba è ormai quasi tutta secca. E’ la spinosità la caratteristica che accomuna le due ultime specie che vogliamo ricordare: la Cardogna comune (Scolymus hispanicus)e l’Asparago pungente (Asparagus acutifolius).
La Cardogna è una pianta erbacea diffusa in tutto il Bacino del Mediterraneo ma poco comune; è cespugliosa, con foglie verdi dalle venature bianche e denti profondi dotati di spine robuste. Le infiorescenze sono capolini giallo vivo terminali, composti da fiori ermafroditi.
Il conosciutissimo Asparago è una pianta caratteristica della Macchia Mediterranea, comunissima ai margini dei boschi, nei luoghi incolti e nei territori colpiti da incendi.
I suoi germogli dal sapore amarognolo sono almeno una volta l’anno sulle tavole di noi tutti e noi tutti abbiamo almeno una volta nella vita subito le piccole spine di questa specie lianosa mentre carpivamo i suoi germogli.
Delle splendide fioriture di Cappero (Capparis spinosa) vi parla Maria Beatrice Lupi nel suo articolo dedicato a questa specie che segna non solo il territorio, ma anche la cucina dei popoli mediterranei.
Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.