I Mammiferi sono specie animali che da rettili preesistenti si sono evolute in ambiente terrestre, andando incontro ad una straordinaria radiazione adattativa[1]. Ma le terre sono circondate dai mari, ecosistemi estremamente produttivi[2] e con una biodiversità che non ha eguali sulla terra emersa. Così alcuni gruppi di essi hanno iniziato, in remote ere geologiche, un processo di adattamento morfo-fisiologico che ha reso possibile la conquista e lo sfruttamento di ambienti oceanici ed in misura minore di acqua dolce.
Questi gruppi sono oggi rappresentati da tre ordini zoologici[3]: Pinnipedi (foche, otarie, trichechi…); Sirenidi (dugongo e lamantini); Cetacei (capodogli, delfini, balene…). La loro storia evolutiva è assai differente, non avendo tra loro nessuna stretta affinità, partendo da antenati ben distinti e raggiungendo infine un grado di adattamento all’ambiente acquatico assai diverso. Infatti se nei Pinnipedi gli arti posteriori sono ancora presenti, sebbene trasformati in pinne, Cetacei e Sirenidi li hanno del tutto persi, mantenendo solo vestigiali ossa [4]del bacino. In tutti e tre i gruppi, gli arti anteriori sono foggiati a pinne con funzione direzionale del moto, che è impresso nei Pinnipedi dal movimento in senso verticale degli arti posteriori battuti a mo’ di coda, mentre Sirenidi e Cetacei nuotano attraverso il battito, sempre in senso verticale, della pinna caudale sviluppata del tutto ex novo. La silhouette corporea di questi ultimi è del tutto simile a quella di un pesce e come i pesci sono completamente acquatici, presenti in ambienti di acque aperte sia oceaniche che di platea continentale[5]. Per i Pinnipedi l’adattamento alla vita in mare non è così estremo e gran parte della loro vita di relazione si svolge ancora sulla terraferma, legati alle acque solo per la ricerca delle prede.
In termini evolutivi, i Pinnipedi hanno radici comuni a quelle dei mammiferi Carnivori (lupi,orsi,felini…), di cui rappresentano la radiazione “piscivora” adattata a predare organismi acquatici. Con essi venivano accumunati nello stesso ordine, tanto erano stretti i legami morfologici quali la struttura del cranio e la dentatura con canini ben sviluppati. Si contrapponeva solo la struttura pinnata degli arti rispetto a quella”fissipede”[6] dei carnivori terragnoli. La pinnatura degli arti è tuttavia un cammino adattativo che ha generato un divario morfologico importante, tale da giustificare la loro collocazione in un ordine separato da quello dei Carnivori. Problemi di affinità che sono stati a lungo dibattuti e non del tutto risolti. Certamente è esistita una radice comune rappresentata dagli estinti Creodonti, mammiferi presenti in età giurassico-cretacica, oltre 70 milioni di anni fa. Essi dettero origine alle forme fissipedi terrestri e da queste prese avvio la radiazione piscivora. Uno scenario che si verificò forse già in epoca terziaria, visto che dopo il Miocene si rinvengono fossili ben ascrivibili alle categorie sistematiche attuali, segno che già si erano realizzati gli odierni adattamenti.
Egualmente dibattuta è stata la possibilità che i Pinnipedi avessero avuto una radice filetica [7]unica o duplice. Si è infatti sostenuto che otarie, trichechi e leoni marini (Otaridi) potessero derivare da fissipedi ursidi, mentre foche ed elefanti marini (Focidi) da mustelidi. I dati cariologici[8] e soprattutto genetici molecolari [9]sono invece a favore della unitarietà del gruppo.
Detto questo, va ricordato che gli Otaridi sono meno specializzati, in quanto il loro arto posteriore ha ancora una articolazione che gli permette di rovesciarsi in avanti nell’appoggio al suolo, consentendo una locomozione spedita sulla terraferma. I Focidi sono meglio adattati al nuoto, con arti posteriori permanentemente rovesciati all’indietro, vertebre cervicali compresse, forme affusolate decisamente adatte anche a lunghi spostamenti in acqua. Tra le foche, la foca monaca deve essere ritenuta forse la più primitiva del gruppo. La sua origine risale al terziario superiore e sarebbe comparsa in bacini interni di acque temperato-calde che in tale epoca geologica erano presenti anche nell’attuale area artica. Da qui raggiunse sia l’attuale Atlantico che il Pacifico attraverso i varchi allora aperti di Panama e di Bolivar (Columbia). Come forme “calde” le foche del gruppo monachus successivamente si espansero verso le aree polari, dando origine così alla odierna distribuzione dei Focidi.
Centri di speciazione differenti sono invece propri di trichechi ed otarie. Infatti le prime evidenze fossili risalenti al Miocene della California, fanno propendere per una loro origine nel Pacifico settentrionale. Da qui sarebbero migrate anche all’Atlantico attraverso l’area panamense ed il mar Caraibico. Non si trattava ancora una volta di specie adattate alle basse temperature e solo in seguito gli Otaridi si diffusero seguendo le gelide correnti che scorrono lungo le coste sud-americane fino all’Antartide ed alle altre terre meridionali.
Il secondo degli ordini di mammiferi acquatici è quello dei Sirenidi, a cui appartengono il dugongo ed i tre lamantini (o manati), oltre alla Ritina di Steller una specie estinta nel XVIII secolo per eccesso di caccia da parte dell’uomo. Il nome fa riferimento al mito delle sirene, a cui queste specie hanno dato vita sin dai tempi omerici. Cristoforo Colombo fu il primo europeo ad avvistare dei lamantini lungo le coste di Hispaniola, rimanendo però deluso dal loro aspetto poiché “la loro bellezza era di gran lunga inferiore a quella descritta da Orazio”.
I Sirenidi sono degli erbivori che pascolano sui banchi di posidonia ed altre erbe acquatiche in acque costiere e negli estuari dei grandi fiumi tropicali, spesso risalendone il corso come nel Rio delle Amazzoni e nell’Orinoco. Le loro origini filetiche risalgono a forme eoceniche di grandi erbivori terrestri; gli stessi che in un filone di sviluppo ben presto distaccatosi, ha dato origine agli elefanti (Proboscidati). Mimando il caso dei Pinnipedi, i Sirenidi rappresentano tra i proboscidati arcaici la scelta ecologica di conquista dei mari, in questo caso per sfruttarne la produttività vegetale. Sono soprattutto le grandi affinità di struttura delle forme craniche con gli antenati eocenici a portare a tali conclusioni. In particolare una dentatura che presentava degli incisivi molto sviluppati, seguiti da un diastema [10]assai pronunciato. Gli incisivi sono divenuti adatti nei Sirenidi a tranciare erbe mentre nei Proboscidati odierni sono divenuti le tipiche zanne. Le specie più antiche risalgono all’Eocene medio dell’Egitto e della Giamaica ed erano dei primitivi dugongidi a costumi acquatici. Avevano infatti già perso arti posteriori funzionanti ma oltre ad un cinto pelvico [11]completo, avevano ancora rudimenti del loro scheletro. Un fatto che ben testimonia la loro origine da antenati terrestri. Ben poco è noto per i lamantini, noti come fossili solo dall’Olocene, mentre la Ritina è da considerare un dugongo altamente specializzato ed adattato ad acque fredde, a differenza delle altre specie tutte di mari caldi. Nulla è noto, in assenza di fossili, sulla effettiva origine delle specie attuali.
Infine i Cetacei. Quelli più primitivi, oggi estinti, risalenti all’Eocene medio (circa 50-60 milioni di anni fa) avevano già raggiunto una struttura corporea del tutto simile alle forme attuali, e dunque un completo adattamento alla vita in mare. Da ciò si può facilmente dedurre che tale adattamento si sia realizzato in epoche ben più remote, forse già nel terziario inferiore o quanto meno nel Cretaceo (circa 75 milioni di anni fa). Il più impressionante mammifero acquatico dell’Eocene era un’antica balena di 18-20 metri di lunghezza, più snella delle forme attuali e dall’aspetto serpentiforme: il Basilisco (genere Zeuglodon). Tali balene che vengono comprese nel gruppo estinto degli Archeoceti, erano probabilmente discendenti da antiche forme a dentatura carnivora che avevano abbandonato la competizione evolutiva sulla terraferma per esplorare le possibilità del mare quale nuovo ambiente di vita. Essi erano spesso abitatori di ambienti anfibi, fatto che potrebbe aver facilitato il passaggio definitivo all’acqua.
Se da essi si siano evolute le due linee di cetacei attuali, ossia quelli con dentatura da predatori come i delfini e le orche (Odontoceti) e quelli con fanoni cornei mangiatori di plancton come le balene (Misticeti) è una ipotesi plausibile ma certamente non da tutti condivisa. La dicotomia potrebbe essere molto più antica ed interessare direttamente le forme carnivore preesistenti. Ma in questo senso un fatto rilevante è che gli Archeoceti avevano già realizzato l’arretramento delle narici dalla estremità del muso ad una posizione dorsale nel cranio, realizzando così quell’adattamento di uno “sfiatatoio” comune a tutti i Cetacei. Un fatto ritenuto cruciale nel testimoniare l’unitarietà del gruppo. Se così non fosse i Cetacei non potrebbero essere mantenuti nello stesso ordine ma finire divisi. Lo stesso vale per i tanti caratteri comuni a Misticeti ed Odontoceti che dovrebbero essere considerati solo delle convergenze evolutive realizzatesi autonomamente nei due gruppi e non un segno di affinità filetica. Non sarebbe la prima volta che l’evoluzione ci riserva simili sorprese!
[1] Radiazione adattativa: processo evolutivo di adattamento di un gruppo di specie ad ambienti differenti.
[2] Produttività di un ecosistema: indica la capacità di un ambiente alla produzione di materia organica.
[3] Ordine zoologico: categoria sistematica di livello superiore che racchiude molte specie tra loro evolutivamente correlate.
[4] Ossa vestigiali: ossa ridotte che hanno perso la loro funzione originaria.
[5] Platea continentale: area marina di profondità massima intorno ai 150 metri che circonda le terre emerse.
[6] Fissipede: forma della zampa delle specie carnivore terrestri, contrapposta a quella pinnipede.
[7] Radice filetica: punto di partenza di una radiazione adattativa.
[8] Dati cariologici: dati relativi al numero ed all’assetto dei cromosomi di una specie.
[9] Dati genetico molecolari: dati relativi a porzioni di DNA od RNA di una specie.
[10] Diastema: spazio della mandibola o della mascella privo di denti .
[11] Cinto pelvico: complesso delle ossa del bacino.
Crediti:
Autore: N. Emilio Baldaccini. Già Professore Ordinario di Etologia e di Conservazione delle risorse Zoocenotiche dell’Università di Pisa. Autore di oltre 300 memorie scientifiche su riviste internazionali e nazionali. Svolge attività di divulgazione scientifica. E’ coautore di testi universitari di Etologia, Zoologia Generale e Sistematica, Anatomia Comparata.