L’espressione “disastro naturale” è utilizzata sempre più frequentemente. L’esondazione di un fiume, un terremoto, una frana, un tornado, una tromba marina, uno tsunami non sono disastri, sono fenomeni naturali, di cui conosciamo da tempo le cause e che siamo in grado di prevedere con tempistiche diverse. Un terremoto è prevedibile solo con un piccolo anticipo, uno tsunami o la piena di un fiume sono prevedibili con un anticipo molto più largo. Eppure accade che ciascuno di questi fenomeni siano causa di molte morti e di grandissimi danni economici.
Perchè?
Perché se vengono costruite case nelle casse di espansione di un fiume, cioè in quelle aree che il fiume occupa saltuariamente nel caso di piogge particolarmente abbondanti, è evidente e soprattutto prevedibile che la forza dell’acqua porti via le case insieme a chi le abita. Se inoltre, a monte del fiume qualche genio ha anche provveduto a cementare le rive eliminando la vegetazione ripariale che rallenta la furia dell’acqua, questa avrà una forza perfino superiore quando si abbatterà sulle case che non avrebbero dovuto stare lì.
Perché se le foreste di mangrovie che vivono fra la terra e il mare lungo le coste delle zone marine tropicali e subtropicali di entrambi gli emisferi vengono tagliate, capita che la furia delle onde degli tsunami o dei cicloni non abbia nessun ostacolo. Le foreste di mangrovie hanno un effetto attenuante sui danni provocati da tsunami e cicloni, tanto da essere ritenute più efficaci di strutture come le dighe in cemento: in una fascia costiera larga 100 m, 30 alberi possono ridurre la pressione massima del flusso di maremoto di oltre il 90%, se l’altezza dell’onda non supera i 5 m.
Il super-ciclone che si è abbattuto sul territorio indiano il 29 ottobre 1999 con una velocità del vento pari a 310 km/h, ha fatto registrare il caos più assoluto nelle aree prive di mangrovie, con oltre 10.000 morti. Praticamente nulla è invece accaduto nelle regioni con fitti mangrovieti.
Perché se lasciamo una collina o una montagna prive di vegetazione per aver tagliato tutti gli alberi per farne legna da ardere, mobili o carbone, oppure abbiamo dato fuoco al bosco che le ricopriva, dobbiamo sapere che nulla tratterrà la terra e i massi che costituiscono la collina o la montagna e questi franeranno sulle nostre case o sulle nostre strade.
Perché se costruiamo intere città intorno o addirittura sulle faglie che separano le zone di movimento delle placche tettoniche terrestri, e non ci premuriamo di costruirle con sistemi davvero antisismici, non possiamo che aspettarci morte e distruzione.
Per chiudere: prima di definire disastro naturale un fenomeno che è costato ai nostri territori danni e morti, chiediamoci in cosa abbiamo sbagliato. Ci servirà, se vogliamo dimostrare un minimo di senno, a non perseverare in quell’errore. Utilizzare la tecnologia per cercare di avere ragione sui fenomeni naturali attraverso i quali il nostro Pianeta si evolve non può essere una buona idea. Possiamo invece utilizzare la tecnologia per rendere la nostra permanenza sulla Terra piacevole e armoniosa facendo quello che hanno fatto i nostri antenati: adattarsi ai territori che volevano colonizzare tenendo conto delle loro caratteristiche e sfruttandole a loro favore.
Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.