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Ma gli uccelli hanno… buon naso?

Sono state molte le generazioni di zoologi che, come la mia, si sono formate su testi di Anatomia Comparata dei Vertebrati che riportavano per gli uccelli ridotte capacità olfattive. Erano infatti considerati dei microsmatici, ossia specie in cui l’olfatto aveva un ben scarso ruolo nel loro comportamento, compreso quello di ricerca del cibo. Ma non è proprio così che stanno le cose, anche se fu un giovane Charles Darwin che contribuì a creare una tale convinzione, con un esperimento su avvoltoi sud americani che non riuscirono a trovare pezzi di carne nascosti alla vista. Ma era il 1834…

Il substrato anatomico
Negli uccelli le cavità nasali sono arrangiate secondo il piano rettiliano in tre camere successive (Fig.1), complicate in varia misura dalle rispettive conche (ossa turbinate). Sulla più caudale si stende l’epitelio olfattivo, le cui cellule recettrici hanno caratteristiche anatomiche non diverse da quelle degli altri vertebrati. Le camere nasali sono spesso strutturate in modo da far convergere l’aria inspirata direttamente sull’epitelio e le conche possono variare di numero, con il kiwi che ne ha ben cinque (Fig.1).

Fig. 1 – a) Sezione longitudinale schematica del becco di un uccello: en-narici; fnc, snc, tnc- prima, seconda, terza camera nasale; ot- tubercolo olfattivo; os- apertura del seno orbitale.
b) Sezione della cavità nasale del kiwi.
c) Sezione trasversale del becco di un fulmaro (Tubinari) che mostra la struttura turbinata del tubercolo olfattivo. Da Portmann 1961.

Le cellule recettrici dell’epitelio connettono centralmente con le cellule mitrali contenute nel bulbo olfattivo, attraverso il nervo di identico nome (Fig.2). Il bulbo si trova in avanti agli emisferi telencefalici ed è costituito da due parti non sempre della stessa dimensione, ampiamente fuse tra di loro. La sua dimensione è correlata con la estensione dell’epitelio olfattivo. Dal bulbo parte a sua volta la radiazione olfattiva verso parti sorprendentemente vaste del telencefalo e del diencefalo (ipotalamo), ossia con aree che permettono più opportunità di interazione con altri sistemi sensoriali o di coordinazione di comportamenti complessi, dal controllo motorio all’imprinting. Di particolare rilievo funzionale è inoltre la commissura olfattiva anteriore, che permette lo scambio delle informazioni olfattive fra i due emisferi.

Fig 2 – Encefalo di un colombo con bulbi e nervo olfattivo.

Gli aspetti funzionali
Ma com’è che una specie è considerata macro o microsmatica dal punto di vista anatomico? Lo si fa sulla base del rapporto dimensionale tra il diametro massimo del bulbo olfattivo più grande e quello dell’emisfero cerebrale situato dal medesimo lato (ipsilaterale).

Nei mammiferi carnivori i bulbi sono solitamente grandi e lo sono soprattutto rispetto ai diametri encefalici, per questo sono considerati, a ragione, macrosmatici. Le balene invece hanno bulbi piccolissimi, quasi criptici, ed allora ritenute anosmatiche. I primati a loro volta hanno bulbi di dimensioni intermedie, in generale classificati come microsmatici; ma sappiamo bene che chiamare microsmatici i “nasi” impegnati nella profumeria industriale appare alquanto anacronistico!

Fig. 3 – 123 specie di uccelli appartenenti a 23 differenti ordini allineati a seconda del valore decrescente del rapporto dimensionale bulbo/emisferi cerebrali.

Come i mammiferi, anche gli uccelli hanno nella loro diversità una situazione complessa che è ben espressa nella figura 3, in cui sono riportati i dati del rapporto bulbo/encefalo di differenti specie. I valori più alti di tale parametro spettano al kiwi che ha bulbi enormi di tipo rettiliano, subito seguito dalle diverse specie di procellariformi o tubinari (albatros, uccelli delle tempeste, berte. Vedi Fig.4). Un passeriforme come lo storno ha invece bulbi molto piccoli ed una situazione non molto differente è quella di non-passeriformi come il colombo od il rondone.

Fig. 4 – Berta maggiore (Calonectris diomedea) in cova. Foto Camilla Gotti.

Dalla figura 3 si nota un decremento sensibile dai procellariformi verso i passeriformi, ossia verso le specie di più recente evoluzione, ma non si tratta di una correlazione solo sistematica, in quanto le dimensioni dei bulbi correlano con l’habitat, la dieta ed il pattern di nidificazione ma anche con i costumi notturni o crepuscolari, dal momento che tali specie hanno bulbi più grandi dei diurni, quasi che l’olfatto fosse un generalizzato adattamento a bassi livelli di luce.

Ma forse le dimensioni dei bulbi non possono spiegare tutto, in particolare poco o niente dicono sulle effettive connessioni dei recettori che contengono, sulle loro proiezioni centrali e dunque sui centri dell’encefalo che raggiungono, informandoli, dei panorami olfattivi percepiti. Inoltre così come esiste una acuità visiva, che ha poco a che vedere con il diametro dei bulbi oculari, così esiste una acuità olfattiva. Quando intorno agli anni ’70 del ‘900 tali potenzialità iniziarono ad essere studiate, si ebbero grosse sorprese.

Come detto tutti gli uccelli hanno una vasta radiazione delle vie olfattive bulbari ed altrettanto sorprendenti sono le capacità di discriminazione degli odori nonchè le percezioni di soluzioni di sostanze odorose di bassissima concentrazione, indipendentemente dalle dimensioni dei bulbi olfattivi. Un uccello in stato di quiete, monitorato elettrocardiograficamente, mostra un innalzamento del battito cardiaco se investito da una corrente d’aria contenente una sostanza odorosa, con reazioni di differente intensità a seconda della sostanza e della sua concentrazione.

Nel colombo la soglia di reazione può essere valutata per il mentolo a 0.10 parti per milione (ppm), mentre la gazza reagisce a 0,25 ppm della medesima sostanza. Inversamente il colombo reagisce al pentano a 16.45 ppm mentre il gallo lo fa a 1.58 ppm, dimostrando soglie differenti per uguali sostanze nelle varie specie. Sempre il colombo, per quanto riguarda la reazione alla variazione di concentrazione della sostanza inalata, dimostra capacità addirittura comparabili a quelle del ratto, un macrosmatico capace di altissimi valori di acuità olfattiva. Molto rilevante è inoltre il fatto che gli uccelli siano condizionabili, come i cani di Pavlov, a stimoli odorosi, dimostrando come questi possano attivare sistemi comportamentali complessi.

Stimoli olfattivi e comportamento
Uno degli assiomi fondamentali nella ricerca empirica è quello di “porre alla natura le giuste domande”. Nei i primi tentativi di testare la funzionalità dell’olfatto negli uccelli, si cercò di capire se gli avvoltoi, che sono dei necrofagi, trovassero il cibo a naso. Gli esperimenti furono talmente bislacchi da non aver alcun riscontro positivo…ma chi li aveva fatti fu Audubon, uno dei maggiori ornitologi statunitensi dell’ottocento, convinto denigratore del senso olfattivo negli uccelli. Nessuno osò contraddirlo e così nacque la favola degli uccelli anosmatici.

Ma il kiwi sniffa sonoramente quando cerca il cibo con le sue narici poste in cima al becco, tanto da scovare una buchetta con dei lombrichi nascosti sotto 12 cm di terra, tra altre che non ne contengono. Altrettanto impressivo è ciò che riescono a fare i procellariformi: spugne bagnate con olio di fegato di merluzzo gettate tra le onde, li attirano prontamente, senza degnare di attenzione quelle bagnate solo con acqua di mare. Così oggi si è convinti che riescano a trovare a naso i banchi di gamberetti di cui si nutrono, come predetto da generazioni di balenieri, navigatori e pescatori oceanici. Una lunga serie di test sperimentali ci ha parimenti convinto che berte ed uccelli delle tempeste siano capaci di trovare il loro nido basandosi su stimoli odorosi, almeno nella ultima parte dei loro interminabili voli di foraggiamento, centrandolo anche quando, nelle sperdute isole dell’Antartico, è coperto dalla neve.

Il naso ha infine profondamente a che fare anche con il rientro alla colombaia dei colombi viaggiatori, ma questo lo racconterò in una prossima occasione…

Pulcino di Uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus). Sul becco si notano gli astucci cornei delle narici. Foto Enrica Pollonara.

Crediti
Autore: N. Emilio Baldaccini. Già Professore Ordinario di Etologia e di Conservazione delle risorse Zoocenotiche dell’Università di Pisa. Autore di oltre 300 memorie scientifiche su riviste internazionali e nazionali. Svolge attività di divulgazione scientifica. E’ coautore di testi universitari di Etologia, Zoologia Generale e Sistematica, Anatomia Comparata.