Prendiamoci cura della Terra

Come comincia una foresta?

Bosco, foresta, macchia: parole che usiamo quotidianamente con molta disinvoltura, ma a volte senza conoscerne a fondo l’esatto significato. Proviamo a cercare le differenze fra questi termini.

La foresta è una formazione arborea naturale di alto fusto pluristratificata, cioè con piante arboree disposte su più piani, piante arbustive ed erbacee. La foresta è caratterizzata da una grande varietà di specie che hanno trovato un preciso equilibrio fra loro. E’ sempre e comunque un’area piuttosto vasta, composta da vegetazione originaria, cioè non modificata dall’uomo. Un tempo l’Italia era completamente coperta da foreste, ma già in epoca preromana le popolazioni che la abitavano iniziarono un processo di deforestazione, sia per procurarsi quel prezioso materiale che è il legno, che per liberare nuove terre da utilizzare per i pascoli e l’agricoltura. Oggi, purtroppo, sono ben poche le foreste che sono riuscite a giungere fino a noi.

Gli antichi boschi di castagno dell’isola d’Elba sono stati piantati nel medio evo come riserva di legname per la costruzione di alcune parti di barche e navi. Poi le castagne hanno rappresentato una importante risorsa alimentare specialmente per i piccoli paesi di montagna come conferma l’antico proverbio che afferma “la castagna è il grano della montagna”. Foto Anna Lacci.

Il bosco, nel linguaggio comune, è considerato come una foresta di piccole dimensioni; spulciando fra i testi scientifici ci accorgiamo che questo termine è usato soprattutto nel caso di vegetazione arborea di alto fusto formata da una sola specie. In natura queste formazioni sono rare: si possono trovare boschi in cui una specie è molto più numerosa delle altre, ma non è mai l’unica colonizzatrice di un’area. Perciò, generalmente la presenza di una sola specie indica l’intervento dell’uomo.

Classici esempi sono i boschi cedui: si tratta di boschi formati da alberi i cui fusti principali vengono tagliati alla base o ad una certa altezza lasciando i ceppi, che daranno poi nuovi getti; i fusti tagliati vengono utilizzati per la produzione di legna da ardere, per fare carbone, per l’estrazione dei tannini dalle cortecce, per la fabbricazione della carta, per la lavorazione dei mobili, e così via. E’ da notare che, dove i boschi impiantati dagli uomini sono stati abbandonati, tende a ripristinarsi lentamente l’ambiente originario di tipo forestale.

Una vecchia ceppaia di bosco ceduo. Foto Anna Lacci.

La macchia è una formazione vegetale costituita da alberi con portamento arbustivo, e soprattutto da arbusti sempreverdi dalle foglie spesse, coriacee, piuttosto piccole, atte a ridurre la perdita d’acqua per traspirazione. Questo tipo di formazione vegetale è diffusa nelle regioni che si affacciano sul Mediterraneo, dove prende il nome di Macchia Mediterranea, e comunque nelle zone in cui le estati sono calde e aride e gli inverni miti e piuttosto piovosi.

A seconda dell’altezza e della densità della vegetazione, la macchia prende nomi diversi. Viene chiamata macchia-foresta se gli alberi superano i tre-quattro metri di altezza, hanno portamento arboreo e sono associati ad arbusti, liane e cespugli tanto strettamente ravvicinati da renderla impenetrabile. Quando le piante raggiungono i due-tre metri ed i loro rami, pur intrecciandosi, lasciano spazi che vengono utilizzati da specie stagionali, si parla di macchia alta o, se non supera i due metri d’altezza, di macchia bassa.

Formazione di Macchia Bassa. Foto Anna Lacci.

In zone degradate o su substrati rocciosi si passa ad un’altra formazione vegetale, la gariga, caratterizzata da specie perenni con fusti legnosi e prossimi al suolo, spesso spinose, aromatiche, adatte a vivere su suoli in cui scarseggia l’acqua e il clima è molto secco.

Gariga costiera in fiore a Elicriso (Helichrysum italicum) e Cisto (Cistus monspeliensis). Foto Anna Lacci.

Ciascuna delle formazioni descritte, però, non rimane uguale nel tempo: quello che vediamo arrivando in un territorio è la situazione di quel determinato momento della sua “vita” e tenderà, a seconda dei cambiamenti del clima e del suolo, a trasformarsi lentamente in un altro ecosistema. Ciascun ecosistema ha una sua vita, paragonabile a quella di un essere vivente: come lui è formato da varie parti, ciascuna delle quali assolve ad una particolare funzione, e come lui cambia nel tempo, nel senso che attraversa diversi stadi di sviluppo.

La trasformazione di un ecosistema in un altro viene chiamata successione ecologica: è un’evoluzione che ha tempi più brevi rispetto all’evoluzione delle specie; anzi, in genere è l’evoluzione dell’ecosistema ad indurre l’evoluzione delle specie vegetali e animali che lo compongono.

Torniamo però al nostro bosco e proviamo a ricostruire la sua storia; anzi, cerchiamo come esempio un luogo reale, noto a tutti: un arenile. Per poter seguire il cammino della natura non dobbiamo scegliere però un arenile rovinato da cabine o delimitato da una strada, ma una bella spiaggia larga con una zona boscata retrostante.

Partendo dalla striscia di sabbia battuta dalle onde, troveremo una prima parte completamente priva di vegetazione; andando avanti cominceremo a trovare piante con caratteristiche che permettono loro di vivere in un ambiente arido, dal suolo incoerente: lunghe radici, fusti volubili, foglie grasse o coperte da peluria. Questo è l’ambiente di duna; qui le piante pioniere hanno il compito di fermare la sabbia che forma le dune e iniziare a compattare il terreno, sul quale si impianteranno poi le essenze floristiche che daranno origine alla gariga. Nella nostra passeggiata attraverso gli ecosistemi troveremo la gariga subito dietro le dune; le piante di questo ecosistema sono basse, con foglie strette, spesso aromatiche, anche loro adattate ad un ambiente a forte irraggiamento. Il terreno è ancora prevalentemente sabbioso, ma comincia ad avere una componente umifera che nella parte più vecchia, quella più distante dal mare, permette ai primi arbusti di impiantarsi.

Profilo dunale che evidenzia la successione ecologica che va dalla zona afitoica (senza piante) ai boschetti retrodunali. Disegno di Rossella Faleni.

A questo punto bisogna fermarsi un attimo e notare che non solo stiamo percorrendo ecosistemi successivi, ma di ciascuno di essi stiamo percorrendo lo sviluppo. Della gariga, la striscia prossima alle dune è la parte “giovane”, quella prossima all’arbusteto è la parte “vecchia”. Dell’ambiente dunale, la fascia prossima alla gariga è la più vecchia, quella verso l’arenile la più giovane. Quindi, a mano a mano che il mare ammucchia sabbia, gli ecosistemi di duna, di gariga e gli altri che seguono, si spostano in avanti.

Anche l’arbusteto, che riesce ad impiantarsi grazie al “lavoro” fatto sulla sabbia dalle piante e dagli animali della gariga, fornisce a sua volta l’opportunità ai primi alberi di vegetare. L’arbusteto forma una fascia spessa e intricata che ripara le aree retrostanti dal vento di mare, permettendo così ai giovani alberi di crescere ed irrobustirsi. A sua volta, questa prima fascia arborea rappresenta spesso uno stadio di passaggio alla foresta vera e propria. In molti litorali, anche aiutati dall’intervento della Forestale, la prima fascia arborea è a pino marittimo, un albero particolarmente indicato per creare barriere antivento, che daranno alle giovani piante di leccio o di altre latifoglie la possibilità di crescere. Ma queste ultime non solo sono più alte, ma anche più longeve, per cui ben presto sostituiranno definitivamente la pineta. Con il passare degli anni si svilupperà così la foresta. Fino a quando non ci saranno rilevanti cambiamenti orografici o climatici, questo ecosistema rimarrà stabile: ad esso si dà il nome di climax.

Evoluzione degli ecosistemi fino allo stadio di climax. Condizioni avverse, come incendi, tagli indiscriminati, forti periodi siccitosi, possono essere causa di involuzione degli ecosistemi. Disegno di Rossella Faleni.

Altro esempio facile da osservare e studiare, per chi non avesse a portata di mano un arenile, è un campo abbandonato. Rispetto all’arenile, il campo parte con un certo vantaggio, perché ha già uno strato di humus e il terreno ha una stabilità maggiore: la strada che lo condurrà a divenire un bosco è lunga ma sicura, a meno di eventi catastrofici come incendi o frane!

Un anno dopo l’abbandono il campo è già invaso da quelle piante, comunemente definite “erbacce”, che nel nostro caso definiremo pioniere. Queste erbe sono state seminate da uccelli che si sono rivolti al campo per un rifornimento di insetti e vermini, da altri animali di passaggio o dal vento. Dopo circa tre anni cominciano ad apparire i primi cespugli, appartenenti a specie poco esigenti in fatto di ombra, prima piccoli e radi, poi sempre più fitti e vigorosi. Intanto, molte delle erbe presenti inizialmente sono scomparse: appartenevano a specie amanti del sole e del vento; ora cominciano ad apparire specie che preferiscono vivere in luoghi più ombrosi.

In primo piano una foresta sempreverde in cui si distinguono molte specie arboree diverse. In secondo piano un rimboschimento a pini su un’area percorsa dal fuoco. Foto Anna Lacci.

I primi cespugli hanno ormai favorito la crescita di alti arbusti che, con la loro ombra, permettono alle giovani latifoglie di germogliare e crescere al loro riparo. Come nel caso precedente, la foresta, in tutto il suo rigoglio e la sua maestà, sarà l’ultimo atto di questa magnifica storia a puntate, dove in ogni puntata è rappresentata la vita di un ecosistema. Nel caso del campo bisogna notare come gli ecosistemi che si succedono occupino uno spazio temporale sempre maggiore: il prato dura solo due o tre anni, il cespuglieto cinque-sette anni, l’arbusteto quindici-venti anni e dal bosco giovane allo stadio di climax non passano meno di trent’anni; a questo punto, come abbiamo già detto, la foresta può rimanere tale anche per millenni.

E’ molto interessante fare dei confronti fra il primo stadio di una successione ecologica e il climax o, se non ci è dato di poterlo osservare, l’ultimo stadio presente. Per esempio, il prato di “erbacce” con il bosco. Il bosco ha una struttura molto più complessa, perché comprende una grande varietà di “sottoambienti” (chiome, sottobosco con muschi e licheni, tronchi in disfacimento, cespugli, piccole pozze, ecc.); nel bosco le specie animali e vegetali sono numerose e di varia natura, per cui le reti alimentari sono complesse, mentre nel prato sussistono solo brevi catene alimentari, spesso del tutto indipendenti fra di loro.

Foresta mediterranea. Foto Anna Lacci.

Per finire diremo che una foresta allo stadio di climax ha un grande potere di autoregolazione: il sistema tende a mantenere una sua stabilità nel numero di individui per specie nonostante le perturbazioni esterne, a patto che queste non siano devastanti. Nelle comunità meno complesse questo non accade: il numero di individui di ciascuna specie può subire grandi oscillazioni, perché i meccanismi di autoregolazione sono molto meno sviluppati.

Da tutto questo possiamo dedurre che un ecosistema è tanto più stabile quanto più è vario e complesso, e quindi quanto più un bosco è “maturo”, o meglio antico, tanto più è prezioso.

Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.